Al ministro della transizione Cingolani va riconosciuto di possedere il senso della notizia. Le sue dichiarazioni trovano sempre una vasta eco sulla stampa: dal rilancio del nucleare all’annuncio del rincaro delle bollette del 40%.
Il costo dell’energia elettrica unitamente al trend delle quotazioni delle materie prime sta diventando una questione rilevante che potrebbe avere riflessi negativi sulla ripresa economica e soprattutto aumentare il disagio sociale.
Oltre agli allarmi e alle preoccupazioni si tratta di proporre soluzioni a breve e lungo termine che riguardano un aspetto cruciale del nostro futuro come la transizione energetica. Occorre coinvolgimento consapevole dei cittadini e del sistema delle imprese.
La strategia contro i cambiamenti climatici deve poggiare su due pilastri: confermare il piano di azione ambizioso dell’Europa in termini di riduzione delle emissioni e di timing e assicurare una “transizione giusta ed equa” sotto il profilo sociale. Sono due elementi strettamente interconnessi e non è immaginabile un piano di azione senza il pieno coinvolgimento consapevole dei cittadini e del sistema delle imprese.
La politica deve assumersi la responsabilità di scelte difficili ma inevitabili per non compromettere la salute della Terra e al tempo stesso deve spazzare il campo da alcune illusioni: il percorso per rendere green il pianeta è faticoso e molto costoso e non sono previste scorciatoie.
Il trend di progressiva crescita dei prezzi dell’energia si spiega con molte ragioni, dalla robusta ripresa economica mondiale alla speculazione sui mercati delle materie prime, dall’impennata degli ETS (certificati per produrre anidride carbonica) alle strategie geopolitiche per disegnare nuovi equilibri tra le grandi potenze.
Una micro impresa paga l’energia quattro volte di più delle grande impresa. Pensare di contrastare tale fenomeno è inutile, ma le istituzioni e le forze politiche possono mitigarne gli effetti sociali attraverso la leva fiscale e gli strumenti di incentivazione.
La transizione giusta è fondamentale per evitare il paradosso che il processo di decarbonizzazione aumenti le disuguaglianze, tanto più dopo quanto ha provocato la pandemia.
Due le direttrici: la prima è un intervento di carattere sociale rivolto alle famiglie più fragili a carico della collettività, la seconda è il ridisegno della fiscalità sull’energia che deve essere coerente. Non si possono ridurre le emissioni se si incentivano le grandi imprese energivore e le fonti fossili.
Una micro impresa (consumo annuo sotto i 20 MWh) paga l’energia elettrica quattro volte di più della grande impresa (consumo tra 70mila e 150mila MWh).
Le imprese italiane nel complesso pagano l’energia elettrica il 16% in più della media europea, ma per le piccole il differenziale con l’Europa sale al 33,5%. In cifre significa che alle piccole italiane un MWh costa 278 euro contro i 208 della media UE.
I continui rincari della bolletta dovrebbero spingere il governo e il parlamento a rivedere finalmente la struttura dei costi dell’energia che continuano ad essere gravati da una serie di oneri impropri e incompatibili.
È del tutto evidente che la moltitudine di incentivi esistenti non funziona se il 75% delle Pmi non ne usufruisce.
Per fronteggiare il rincaro di luglio il governo ha stanziato 1,2 miliardi, ora si pensa a un intervento sull’Iva. Ma si tratta di interventi spot e soprattutto che riflettono la visione sbagliata che l’impennata dei prezzi è una sorta di bolla destinata a rientrare. Altro terreno sul quale è urgente intervenire riguarda gli incentivi e le agevolazioni per l’efficienza energetica. Una recente ricerca mostra che solo una su quattro tra le Pmi ha usufruito di misure agevolative. E’ del tutto evidente che la moltitudine di incentivi esistenti non funziona se il 75% non ne usufruisce.
Anche l’Europa deve compiere un passo in avanti in termini di introduzione di strumenti per calmierare i costi crescenti dell’energia. Tra le proposte della Commissione al vaglio del Parlamento figurano la tassa su prodotti importati ad alta densità di carbonio come cemento, alluminio e acciaio.
E poi l’estensione degli ETS fino a tassare circa i due terzi della produzione delle emissioni in Europa dalla quale si attende un introito di 100 miliardi di euro. La Commissione prevede che il 25% di tali entrate sarà distribuito ai singoli Stati per aiutare le famiglie più vulnerabili, ma non si tratta di un assegno in bianco. Il trasferimento sarà subordinato agli sforzi di decarbonizzazione delle famiglie. Una scelta assai discutibile. In sostanza le risorse dalla tassazione sulle emissioni andranno alle famiglie con disponibilità economica per interventi di efficienza energetica. Nessuno invoca una sorta di Robin Hood Tax, ma almeno di non trasferire risorse pubbliche ai benestanti.