Green Pass: una clava per regolamenti di conti

Il certificato verde si è ormai trasformato in uno strumento di rivendicazione politica ed economica con qualche evidente e clamoroso paradosso.

L’estensione dell’obbligo del green pass nei luoghi di lavoro ha provocato un inasprimento della tensione politica e sociale a livelli di guardia. E’ in atto un vero e proprio braccio di ferro che si è spinto a un livello tale che rende difficile qualsiasi passo indietro se non pregiudicando la propria credibilità. Il green pass è ormai diventato l’epicentro dello scontro politico e nella società, non si parla più di vaccini e della loro efficacia.

Per il Governo anche il minimo cedimento significherebbe deragliare dal percorso intrapreso con decisione e coerenza dalla scorsa primavera: progressiva riapertura di tutte le attività stimolando la campagna vaccinale che ha superato il 74% dell’intera popolazione collocando l’Italia davanti a Germania, Francia e Gran Bretagna e dietro soltanto a Portogallo, Spagna e Danimarca.

Il premier Mario Draghi ha ripetuto in più occasioni che non saranno previste deroghe al green pass nei luoghi di lavoro e dopo gli incidenti di sabato scorso a Roma anche un parziale allentamento avrebbe l’effetto di mandare in soffitta l’obbligo di certificazione.  Anche per l’opposizione e la Lega qualsiasi retromarcia rischierebbe di acuire le differenze all’interno del centrodestra, mai così profonde dal primo governo Berlusconi nel 1994.

Tuttavia alcune crepe si scorgono. Certamente nel M5S, con la proposta “pacificatrice” di Beppe Grillo di offrire i tamponi gratis. Lo stesso Salvini talvolta si ricorda di far parte della maggioranza e chiede a Draghi di farsi promotore di un’opera di pacificazione. Alcuni governatori a partire da Luca Zaia hanno evidenziato il rischio di paralisi per alcune attività essenziali a partire da logistica e trasporti. Anche dal granitico mondo delle imprese arriva qualche ripensamento esprimendo preoccupazioni su possibili blocchi delle attività.

Il green pass ormai si è trasformato in uno strumento di rivendicazione politica ed economica con qualche evidente e clamoroso paradosso. Si ascoltano settori e categorie che ritengono di aver diritto a deroghe rispetto all’obbligo di certificazione, in molti casi sono gli stessi che all’inizio della campagna di vaccinazione pretendevano la priorità dei vaccini ritenendo di essere categorie a rischio e di svolgere servizi e prestazioni essenziali per l’interesse pubblico.

A volte l’Italia sembra un Paese con il disperato bisogno di vanificare i risultati raggiunti. L’introduzione del green pass ad agosto per ristoranti e altri luoghi al chiuso era stata accompagnata da critiche e polemiche, temendo che avrebbe provocato una nuova contrazione dei fatturati. Poi escono i dati che la ristorazione ad agosto e settembre ha realizzato un giro d’affari ben superiore allo stesso periodo del 2019.

Un anno fa i contagi avevano raggiunto i 10mila al giorno per arrivare sopra i 30mila a fine ottobre nonostante misure restrittive, stadi, cinema, discoteche e teatri chiusi. Oggi sono meno di 3mila e con tutte le attività aperte e senza limitazioni.

L’economia mostra segnali di progressivo rafforzamento e consolidare il trend della crescita significa tornare ai livelli di Pil pre-Covid prima della fine del 2022. Un risultato non scontato soltanto qualche mese fa. Ancora a giugno scorso dalla Bce al Fmi stimavano una crescita dell’Italia intorno al 4%, oggi è probabile che il rimbalzo del Pil supererà il 6% nel 2021. Il rischio di blocchi delle attività economiche avrebbe ripercussioni inevitabili sulla ripresa che deve già fare i conti con l’impennata dei prezzi dell’energia e le criticità sulle materie prime.

Tuttavia il confronto con la Gran Bretagna è quanto meno improprio. I problemi che sta affrontando il Regno Unito nella catena distributiva e della logistica sono l’effetto della Brexit con la cancellazione dei permessi di soggiorno per lavoro. Tant’è che il governo di Boris Johnson non senza imbarazzo ha autorizzato circa 10mila permessi rispetto ai quasi 100mila necessari per coprire i vuoti.

E’ vero che l’Italia (insieme alla Grecia) è il paese occidentale con la più ampia diffusione del green pass ma la Francia lo ha prorogato fino a luglio prossimo mentre negli Stati Uniti le aziende hanno la facoltà di imporre l’obbligo vaccinale ai propri dipendenti e in caso di rifiuto scatta il licenziamento. L’obbligo vaccinale riguarda tutti i dipendenti degli uffici federali ed i lavoratori delle imprese che vantano contratti pubblici. La Danimarca ha eliminato il green pass ma è stato il primo paese in Europa ad introdurlo e nella forma più estesa: era obbligatorio quasi ovunque ad eccezione degli uffici pubblici. La Germania limita il green pass a strutture sanitarie e scuole ma in caso di quarantena il lavoratore non vaccinato non ha diritto alla retribuzione, a differenza dell’Italia e della Francia.

Insomma la penisola non è un unicum nell’utilizzo del green pass per uscire dalla pandemia incentivando la campagna vaccinale. Ma siamo l’unico Paese dove il certificato è usato come una clava per regolamenti di conti e per le rivendicazioni più disparate.

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