Immobiliare: Il caro-affitti sintomo delle nuove disparità tra città e hinterland

Il governo dovrebbe mettere in campo soluzioni strutturali e non limitarsi a calmierare i prezzi

La risposta del Governo davanti alla protesta degli studenti a Milano contro il caro-affitti è l’ennesimo caso di miopia politica oltre a confermare lo sgangherato assetto della governance istituzionale. La confusione delle competenze e delle attribuzioni tra Stato centrale ed enti locali passando per le Regioni tocca l’apice proprio sulla casa.

La protesta degli studenti non è un fenomeno circoscritto in termini geografici e sociali, al contrario rappresenta la manifestazione pubblica di un malessere più ampio e profondo, che è esploso in concomitanza con l’impennata dell’inflazione e il brusco rialzo dei tassi di interesse, due indicatori che incidono in modo rilevante sul mercato immobiliare.

Le tensioni sul mercato erano visibili già da oltre un anno e l’annuncio del Governo di mettere subito a disposizione oltre 600 milioni per calmierare i prezzi degli affitti (tra l’altro previsti nel Pnrr per l’edilizia studentesca) somigliano alla classica toppa che ignora le cause di fondo e quindi non mette in campo soluzioni strutturali.

 

La politica sulla casa manca di un minimo di programmazione 

 

Oltre a inflazione e tassi di interesse, il mercato degli immobili è fortemente condizionato dal fisco e da scelte urbanistiche e in tempi più recenti anche da orientamenti per la transizione green e l’esplosione degli affitti brevi. 

Da anni la politica è immobile sulla casa, manca un piano, un minimo di programmazione. L’unica certezza è che tutte le forze politiche concordano che tutto è tassabile tranne la casa degli italiani. Nemmeno gli extra-profitti realizzati. Eppure c’è una norma approvata dal parlamento nel 2014 che consente ai comuni di tassare gli extra profitti che non sono le rendite immobiliari ma la rivalutazione, ad esempio, di un terreno che da agricolo diventa edificabile. Extra-profitti che riguardano i grandi progetti immobiliari. In paesi come Germania, Gran Bretagna e Francia la tassazione su tali opere serve per finanziare l’edilizia popolare. In Italia era stato il comune di Roma a introdurre nel 2008 il contributo straordinario, al di là degli oneri di urbanizzazione, sul maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica o in deroga, in misura non inferiore al 50%. La legge del 2014 è stata recepita soltanto da tre Regioni (Piemonte, Liguria e Toscana) ma senza renderla operativa. Poi ci sono i casi di Lombardia e Emilia-Romagna che hanno negato la possibilità di applicare la legge sul loro territorio. 

Insomma la tassazione vantaggiosa sul real estate ha orientato una mole di investimenti che ha contribuito a squilibrare il buon funzionamento del mercato. Ma altre dinamiche hanno incrinato il contesto. Le scelte urbanistiche e l’esplosione degli affitti brevi, quest’ultimi ancora senza un quadro regolatorio certo.

 

Alla domanda di locazioni già robusta si è sommata la richiesta di chi è scoraggiato a comprare casa dall’aumento del costo dei mutui

 

Il risultato è che già l’anno scorso il mercato degli affitti ha mostrato un trend di rincari molto elevato. A fronte di una crescita media del 4% le città, grandi e piccole, evidenziano incrementi a doppia cifra. Il primato è di Potenza e Catanzaro con aumenti superiori al 22%. Milano si è fermata all’11% (ma detiene il record per prezzo al mq pari a 21 euro), Venezia segna un +17%, mentre Roma +6,8%.

La spiegazione è che a una domanda per locazioni già robusta si è sommata quella componente di domanda che è rimasta esclusa dal mercato dell’acquisto a causa di quotazioni elevate e balzo del costo dei mutui.

Ciò che emerge è che le città sono molto richieste, da Nord a Sud, grazie al fatto che complessivamente offrono un livello di servizi migliore e più ampio rispetto ai piccoli centri. D’altra parte sono anni che si parla di desertificazione delle aree rurali e interne ma nessun governo ha affrontato la questione.

Di contro le città stanno attuando politiche urbanistiche che tendono a chiudere gli ingressi nel tentativo di migliorare la qualità della vita. Scelta comprensibile e condivisibile. L’attenzione verso l’ambiente, la volontà di ridurre emissioni e consumi energetici impone scelte che hanno effetti collaterali. Emblematico l’esempio di Londra, la London Congestion charge (un pedaggio per accedere nell’area centrale di 21 Kmq) ha prodotto un significativo aumento dei valori immobiliari. Un tale orientamento sta producendo di fatto una chiusura delle città, ma senza un ripensamento della governance e del concetto stesso di città. Anzi, ampliando la frattura tra città e hinterland.

Non a caso l’ultimo rapporto della Commissione Europea sulle politiche di coesione evidenzia miglioramenti significativi ma sottolinea un drastico peggioramento tra le performance delle aree metropolitane e quelle delle altre regioni in termini di occupazione, inclusione sociale e reddito pro-capite. Sono le nuove disuguaglianze, le disparità prodotte dalla transizione digitale e dalla transizione green ma la politica nostrana non sembra preoccuparsene.

 

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