Inflazione: l’emergenza sono le famiglie che si indebitano per arrivare a fine mese

Più che mobilitarsi per il caro mutui che interessa una platea limitata, il governo dovrebbe preoccuparsi dell’impoverimento della popolazione

Il principale e più nefasto effetto dell’inflazione è l’aumento del costo del denaro. Per i comuni mortali significa tassi di interesse più alti, dunque rate del mutuo più pesanti. In poco più di un anno il costo della vita è salito del 12% costringendo la Banca centrale europea ad agire di conseguenza. Nello stesso arco temporale a Francoforte hanno dato un giro di vite su tassi che immediatamente si sono riflessi sul costo dei prestiti. Per i mutui il tasso medio è passato dall’1,85% al 4,25%, per prestiti personali e credito al consumo da 4 a oltre il 9%.

Da qualche mese pertanto si parla di allarme mutui, famiglie in grave crisi per fronteggiare rate lievitate del 30-40% in pochi mesi. Anche il governo si unisce al coro delle proteste e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, parlando all’Abi ha annunciato che l’allungamento delle scadenze sarà inevitabile.

Una cabina di monitoraggio dei prezzi dei generi alimentari

Dal punto di vista operativo, le esperienze passate hanno favorito la costruzione di sistemi di difesa davanti a repentini aumenti dei tassi. L’allungamento delle scadenze è una possibilità già prevista. Il governo Draghi inoltre ha introdotto per legge la possibilità per le famiglie a basso reddito di convertire il mutuo a tasso variabile in tasso fisso alle stesse condizioni, purché l’Isee sia inferiore a 35mila euro e il mutuo non superi i 200mila euro.

Il sistema di difese prevede inoltre il Fondo Gasparrini, ma servirebbe un intervento di modifica da parte del governo e della maggioranza di destra-centro che invece preferisce puntare l’indice contro la BCE, colpevole di strangolare le famiglie italiane. E’ stata la politica restrittiva della Banca centrale a far dimezzare l’inflazione in sette mesi. Piuttosto l’Italia ha il triste primato in Europa come il paese dove l’inflazione sale più velocemente, ma scende più lentamente. Solo pochi giorni fa il Ministero del Made in Italy si è deciso ad aprire una cabina di monitoraggio sui prezzi dei generi alimentari, inspiegabilmente troppo alti.

Tornando al Fondo Gasparrini, è stato istituito nel 2008 e si è rivelato molto importante durante il primo anno di pandemia. Possono accedere al Fondo, finanziato con soldi pubblici, i cittadini titolari di un mutuo che accusano una temporanea diminuzione di reddito. Durante la pandemia quasi 200mila famiglia hanno potuto continuare a pagare le rate di mutuo grazie al Fondo. Oggi il problema non è la momentanea perdita di reddito, piuttosto l’incremento della rata. L’effetto è lo stesso, ma se il governo non allarga al caro-mutui le condizioni di accesso, lo strumento non è utilizzabile.

Anche Bankitalia trascura analisi approfondite

Tuttavia, le polemiche, spesso sguaiate, poggiamo sulle percezioni trascurando analisi approfondite dei fenomeni. Ad esempio per la Banca d’Italia la situazione non è da allarme rosso. Nell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria di aprile, l’istituto guidato da Ignazio Visco scrive che “i rischi per la stabilità finanziaria connessi con la situazione delle famiglie si mantengono contenuti”, l’indebitamento rimane stabile e basso nel confronto internazionale”, il rientro dall’accomodamento monetario non si sta trasmettendo sulle nuove erogazioni senza tuttavia esporre le famiglie a significativi rischi di rialzo.

Bankitalia scatta una fotografia generale, si preoccupa del sistema complessivo e ragiona con numeri assoluti. E’ rimasta famosa la frase infelice dell’ex Governatore Antonio Fazio ai tempi degli scandali Cirio e Parmalat: “Si tratta soltanto dello 0,15% del risparmio degli italiani”, ignorando che dentro quella percentuale marginale c’erano migliaia di piccoli risparmiatori che avevano perso tutto.

Leggendo i numeri più in profondità, emerge un quadro che dovrebbe far riflettere. E’ probabile che l’allarme mutui riguardi una nicchia di famiglie. Nel primo trimestre dell’anno il tasso di deterioramento dei prestiti alle famiglie era pari allo 0,5% e i mutui a tasso variabile non mostrano una maggiore frequenza di ingresso in deterioramento rispetto a quelli a tasso fisso. Secondo alcune stime la quota di famiglie vulnerabili si colloca intorno al 2,5% di cui meno della metà indebitate con mutuo a tasso variabile.

Il credito al consumo che rappresenta circa il 25% dei finanziamenti alle famiglie.

Le famiglie italiane inoltre si confermano virtuose. Alla fine dello scorso è proseguita la discesa del debito delle famiglie in rapporto al reddito disponibile, al 62,5% rispetto al 64,4% del 2021. Mediamente il debito delle famiglie italiane è inferiore di oltre 30 punti percentuali rispetto alla media dei paesi euro.

Più che il livello dei mutui sarebbe opportuno monitorare con grande attenzione l’andamento dei prestiti e del credito al consumo che rappresentano circa il 25% dei finanziamenti alle famiglie. Questa tipologia di prestiti continua a crescere ed ha raggiunto il 12,8% del reddito disponibile delle famiglie, mentre la media euro è inferiore al 10%. L’aumento riflette l’ampliamento della platea dei richiedenti più che un aumento degli importi. L’incremento è quasi interamente dovuto alla componente prestiti non finalizzati all’acquisto di beni specifici, quindi cessione del quinto dello stipendio o della pensione e carte di credito. Tale andamento significa che molte famiglie ricorrono ai prestiti per finanziare la spesa corrente quotidiana. Lo dimostra il fatto che quasi il 70% dei nuovi contratti è inferiore a 5mila euro e il 28% al di sotto dei mille euro. Molto più alto dei mutui il tasso di deterioramento dei prestiti, oltre il 2% del totale con punte del 3,5% per la cessione del quinto.

Insomma i numeri della Centrale rischi di Bankitalia dicono che il caro-mutui ha effetti molto pesanti su un numero limitato di famiglie. Al contrario continua ad aumentare il numero di famiglie che faticano ad arrivare a fine mese e si indebitano a causa dell’inflazione. Ma di questo, e delle scelte da fare, naturalmente non c’è traccia nel dibattito politico.

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