La sfida su TIM è l’ultima chiamata per lo Stato imprenditore

Il destino della società di Tlc , al centro di un’offerta di acquisto da parte del fondo Usa, KKR, ha un grande impatto su Roma, dove lavora la maggior parte del personale

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TIM torna sotto i riflettori e come sempre negli ultimi 20 anni non sono buone novelle. Nella migliore delle ipotesi si prospetta un nuovo cambiamento dell’assetto proprietario e della relativa governance, ma la sensazione è che la travagliata vita dell’ex monopolista pubblico della telefonia sia arrivata a un tornante che ne cambierà profondamente il profilo.

Non è da escludere un ulteriore e clamoroso ridimensionamento dell’azienda che avrebbe immediate ripercussioni su Roma in termini occupazionali e di competenze in un delicato e strategico settore come le telecomunicazioni. Ma in generale è l’intero Paese che ne soffrirebbe a causa del ruolo cruciale che le tlc rivestono nelle profonde trasformazioni in atto. Basti pensare allo smart working, al processo di digitalizzazione che sta investendo la vita quotidiana delle persone, alla telemedicina.

Un asset di straordinario valore per la modernizzazione del Paese

Il Pnrr infatti destina risorse rilevanti per digitalizzazione e tlc per rispettare le condizioni indicate dalla Commissione Europea. TIM quindi rappresenta un asset di straordinario valore per la modernizzazione del Paese, ma la politica ancora una volta sembra incapace di stabilire indirizzi e obiettivi.

Non deve sorprendere quindi che il colosso americano KKR abbia puntato gli occhi sul gruppo italiano. E’ uno dei principali fondi di investimento al mondo e protagonista di operazioni multimiliardarie. Oggi ha in portafoglio quote azionarie che sfiorano i 200 miliardi di dollari e scorrendo i listini azionari TIM rappresenta una ghiotta occasione. Da qualche mese TIM in Borsa esprime un valore inferiore a 7 miliardi di euro e l’annuncio di KKR di voler acquisire l’azienda, a condizione di avere il via libera dal governo italiano, ha fatto salire la capitalizzazione a quasi 10 miliardi. Per dare una dimensione al valore di TIM è sufficiente sottolineare che Deutsche Telekom vale 80 miliardi, France Telecom sfiora i 30 miliardi e Telefonica 25. Gli americani di AT&T fuori concorso con 170 miliardi.

Il nodo della separazione della rete

Qual è la strategia di KKR? Abbastanza chiara, in linea a quella che perseguiva il fondo Elliott entrato in TIM tre anni fa per contrastare i francesi di Vivendi. Scorporare la rete che rappresenta il grande valore e valorizzarla per massimizzare l’investimento. Gli americani di Elliott nel 2018 valutavano la rete TIM intorno ai 9 miliardi con la prospettiva di arrivare ad almeno 15 miliardi dopo lo scorporo. Stime più attuali di alcuni broker indicano cifre intorno ai 10 miliardi.

La separazione della rete porterebbe alcuni vantaggi. TIM non sarebbe più un operatore verticalmente integrato (proprietario della rete e venditore di servizi), cosa assai gradita alle autorità antitrust europee, diventerebbe il gestore di una infrastruttura come SNAM per il gas o Terna per l’elettricità e potrebbe chiedere tariffe agli operatori sulla base degli investimenti realizzati.

In 20 anni cambiati cinque assetti proprietari 

La palla ora è nelle mani della politica che nella storia di TIM ha mostrato un eccesso di invadenza alternata a complici latitanze. In 20 anni la politica ha contribuito a cinque cambi di assetti proprietari senza riuscire a dare stabilità all’azienda, dai capitani coraggiosi all’invasione francese del finanziere bretone Bolloré con la sua Vivendi.

Non solo. La politica ai tempi del Governo Renzi ha creato un concorrente pubblico di TIM dando vita a Open Fiber, iniziativa clamorosa e senza precedenti al mondo. L’obiettivo era accelerare la costruzione della rete in fibra ma è stato miseramente fallito.

Per contrastare i francesi la politica ha fatto scendere in campo CDP che in due tappe è salita al 10% di TIM con un investimento il cui valore oggi è dimezzato e soprattutto dopo tre anni ancora non è chiaro cosa intenda fare l’azionista pubblico se non ripetere di essere impegnato a lungo termine.

E’ stata abbozzata la fusione tra TIM e Open Fiber nella speranza che dal matrimonio di due debolezze nasca un operatore robusto. Una integrazione complicata sul piano tecnico ma soprattutto giuridico. TIM infatti è proprietaria della rete che gestisce, mentre Open Fiber è un concessionario, quindi non ha la proprietà dell’infrastruttura. Un evidente conflitto di interessi.

Il problema di Tim è anche l’enorme debito accumulato dalle gestioni Colannino e Tronchetti Provera

Per questo la discesa in campo degli americani di KKR può offrire la chiave per sciogliere una serie di nodi che hanno paralizzato il dossier TIM. Vivendi che resta il primo azionista con il 24% rischia una gigantesca perdita di valore avendo pagato le azioni 1,07 euro. CDP non può assumere il controllo di TIM. Il vero problema di TIM rimane l’enorme debito netto che sfiora i 18 miliardi e frutto delle gestioni di Colaninno e dei bresciani prima e di Tronchetti-Pirelli dopo. Un macigno che nessuno è riuscito ad alleggerire e che indica che lo Stato imprenditore è specializzato in disastri.

Nella partita su TIM non sono in gioco soltanto gli interessi degli azionisti e il destino dell’occupazione, ma la capacità di un Paese di dotarsi degli strumenti necessari per affrontare le grandi sfide della modernizzazione.

 

 

 

 

 

 

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