Manovra/Austerità: Promesse tradite e alibi finiti, è l’Everest di Meloni e Salvini

La discontinuità rimane soltanto negli slogan difronte a un debito che sfiora il 140% del Pil e che dovrà di nuovo rispondere al Patto di stabilità, sia pure con eventuali modifiche.

La prossima legge di bilancio sarà la prima non emergenziale dal 2019, ma si annuncia un severo banco di prova per la premier Giorgia Meloni. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha gelato le attese della maggioranza annunciando che la manovra sarà complicata e non si potrà fare tutto. La realtà dei numeri però è ancora più impietosa. La costruzione della legge di bilancio parte dal Documento di economia e finanza redatto dallo stesso Giorgetti che indica in un misero 0,2% del Pil lo spazio di manovra della finanza pubblica per l’anno prossimo.

In soldoni meno di 4 miliardi rispetto ai 30 miliardi necessari almeno per confermare il taglio del cuneo, gli aiuti alle famiglie, il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e le missioni internazionali. Abolizione della Fornero, aumento delle pensioni minime e estensione della flat tax sono le grandi promesse tradite che hanno consentito al centrodestra di vincere le elezioni.

La discontinuità strombazzata da Meloni e Salvini rimane soltanto negli slogan che stanno perdendo appeal verso l’elettorato, anche se dalle opposizioni l’unica proposta concreta è il salario minimo, insufficiente a modificare la mappa dei consensi.

Nella migliore delle ipotesi si può contare su 14-15 miliardi, ma ne occorrono 30 

Per mettere insieme gli agognati 30 miliardi il Governo dovrà scalare l’Everest o sfoggiare grandi capacità da giocoliere. Nella migliore delle ipotesi può contare su 14-15 miliardi che sommano i risparmi sul reddito di cittadinanza, la tassa sugli extraprofitti delle banche, gli incassi per le nuove licenze dei giochi e l’extragettito dalle imposte sui carburanti.

Strettissimi i margini per reperire altre risorse dal bilancio pubblico come ha evidenziato la complessa costruzione del decreto per gli aiuti alla ricostruzione provocata dall’alluvione in Emilia Romagna. Rispetto ai 4,2 miliardi annunciati dal governo, le risorse individuate sono circa la metà e quella realmente disponibili per il commissario non arrivano a 500 milioni. Tanto da alimentare la polemica tra Meloni e il governatore Bonaccini.

I ministri Giorgetti e Urso stanno passando al setaccio l’intricato e abnorme sistema degli incentivi per scovare risorse preziose. Operazione che equivale e spostare soldi da un capitolo all’altro senza alcuna analisi sull’efficacia delle misure in essere. Qualche decimale potrà essere ottenuto nel confronto con la Commissione Europea alla luce della debole congiuntura economica dell’Europa, mentre Palazzo Chigi e MEF hanno riesumato la richiesta di chiedere a Bruxelles di non conteggiare nell’indebitamento, o almeno parzialmente, la spesa per interessi. La maggioranza di destracentro ha bisogno di nemici, dai migranti ai poteri forti, dalla finanza internazionale alle istituzioni sovranazionali. Qualche pasdaran del governo e dei partiti di maggioranza ha già iniziato ad accusare l’Europa e le regole contabili.

Dal 2008 al 2019 la spesa pubblica sul Pil in Italia è lievitata dal 46 al 57% mentre in Germania è scesa dal 53 al 44%.

Dopo la sospensione a causa della pandemia nel 2024 tornerà in vigore il Patto di stabilità con alcune modifiche. Il negoziato è in fase di stallo , ma è utile ricordare che l’Italia non ha portato alcuna proposta a differenza della Germania che ha messo sul tavolo un documento nel complesso di buon senso. In sostanza Berlino chiede che i paesi con debito oltre il 60% del Pil (e noi sfiorano il 140%) lo riducano di un punto l’anno e che la spesa primaria (prima degli interessi sui titoli di Stato) cresca meno del reddito potenziale (da definire) nei paesi con deficit oltre il 3%.

Un accordo è fondamentale per l’Italia mentre la maggioranza sembra vivere nell’illusione che il limite alle manovre di bilancio dipenda dai partner europei invece che dai mercati finanziari.

Da 15 anni assistiamo a un confronto ‘’da bar’’ intorno al termine austerità, come se le istituzioni europee abbiano imposto politiche di bilancio nel segno del rigore. Una narrazione smentita dai numeri ufficiali, elaborati da Eurostat, Istat, Commissione europea e soprattutto Ministero dell’economia.

La vera austerity l’hanno sperimentata greci e portoghesi, in parte gli spagnoli. L’Italia tra il 2008 e il 2019 ha visto lievitare la spesa pubblica dell’8,5%, più dell’Olanda e poco meno della Germania. La spesa pubblica sul Pil in Italia è lievitata dal 46 al 57% mentre in Germania è scesa dal 53 al 44%.

Più che le grandezze economiche contano la qualità degli interventi, le strategie per favorire la crescita. E’questo il vero tallone d’Achille del nostro paese e gli ultimi nove governi non hanno modificato la situazione, al contrario c’è stato un susseguirsi di interventi populisti come se redditi, povertà, crescita dipendano da leggi e decreti.

Nel 2019 la spesa pubblica per investimenti è scesa a 21 miliardi mentre la Germania ha speso ben 96 miliardi.

Gli unici risparmi di spesa sono stati il blocco decennale dei contratti del pubblico impiego e la flessione della spesa per interessi grazie al ‘’quantitative easing’’ della BCE di Mario Draghi (a proposito del rigorismo delle istituzioni europee). La spesa sociale è aumentata del 14,5% e viaggia verso i 400 miliardi. Nel 2005 la spesa pubblica per investimenti era 45 miliardi, in Germania 42. Nel 2019 è scesa a 21 miliardi mentre Berlino ha speso ben 96 miliardi.

Gli 80 euro di Renzi (diventati 100 con il Conte 2) sono costati 100 miliardi con un beneficio al Pil di circa 30, la rinuncia all’Imu sulla prima casa è costata circa 75 miliardi, 10 miliardi per le otto salvaguardie dei veri e finti esodati della Fornero, 8 miliardi per garanzia giovani, 35 miliardi per taglio Ires e componente lavoro sull’Irap, 19 miliardi per incentivare assunzioni che le imprese avrebbero comunque realizzato anche senza decontribuzione. Nell’anno migliore la crescita del Pil è stata dell’1,6% confermando che non c’è una diretta relazione tra taglio delle tasse e sviluppo economico.

Siamo sicuri che non esistessero opzioni migliori per spendere 200 miliardi? Da 15 anni a oggi le uniche misure che hanno rafforzato il potenziale di crescita dell’Italia (analisi di Bankitalia e Eurostat)) sono state il programma Industria 4.0 e i bonus all’edilizia, il primo non sarà rifinanziato mentre i secondi sono stati affossati da Meloni e Giorgetti. Ora servirebbero visione, strategie e un po’ di coraggio.

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