Piano Regolatore Roma: Norme edilizie più semplici, ma la Capitale resta senza visione

La città in 15 minuti, inclusiva e sostenibile sono poco più di slogan se l’amministrazione della città non declina i titoli in programmi e progetti.

La giunta Gualtieri mette mano alle norme sull’edilizia con un profondo intervento di semplificazione che, sulla carta, dovrà agevolare la trasformazione e la rigenerazione della città. Non si interviene sul Piano regolatore del 2008, bensì è un aggiornamento delle norme tecniche di attuazione del piano. Il provvedimento, che ora dovrà incassare il via libera del Consiglio comunale, ha raccolto commenti e giudizi positivi, dalla stampa agli operatori economici.

In effetti semplificare l’architettura normativa e le procedure risponde a una esigenza molto avvertita dalle società moderne. Le lacune della pubblica amministrazione diventano ancor più evidenti e insopportabili quando l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione offrono uno straordinario contributo a semplificare la vita dei cittadini.

Semplificare d’altra parte è uno dei pilastri da 20 anni di ogni forza politica, tanto che l’Italia è forse l’unico paese al mondo ad avere un ministero per le semplificazioni, i cui risultati sono modesti in relazione agli obiettivi perseguiti.

Per Roma dunque una buona notizia, ma la riduzione delle procedure, l’eliminazione di una serie di vincoli per i cambi di destinazione rischiano di rimanere un elenco di buoni propositi se il nuovo quadro normativo non sarà digerito dal moloch rappresentato dalla macchina burocratica.

E tuttavia c’è un altro elemento sul quale la giunta e il consiglio comunale dovrebbero pronunciarsi: qual è la visione per Roma. Non basta indicare la rigenerazione delle periferie, la riqualificazione immobiliare e il recupero di aree degradate. La città in 15 minuti, città inclusiva e sostenibile sono poco più di slogan se l’amministrazione della città non declina i titoli in programmi e progetti.

Il piano regolatore del 1962 e le sue enormi contraddizioni condiziona ancora oggi la Capitale

Certamente impresa complessa per una città urbanisticamente massacrata. Basti ricordare che la Roma post-fascista non ha mai avuto un piano regolatore ma tante esercitazioni tra idee, proposte e disegni. Anche di qualità ma tutte rimaste sulla carta, mentre lo sviluppo effettivo della città avveniva in modo caotico e sregolato. Il piano regolatore del 1962 e le sue enormi contraddizioni condiziona ancora oggi la Capitale. Il nucleo di quel piano era decongestionare il centro della città e venne ideato lo SDO (Sistema direzionale orientale).

Uno sviluppo razionale ma che non considerava tre evidenti debolezze: l’inefficienza della macchina burocratica, un sindaco senza poteri effettivi e l’assenza delle infrastrutture fondamentali per immaginare di replicare Londra (estesa rete metro) o Los Angeles (autostrade metropolitane). Un fallimento, all’atto pratico, danni irreversibili. E infatti il piano regolatore del 2008 della seconda amministrazione Veltroni è una specie di dichiarazione di resa.

Ma il Prg targato Veltroni introduce l’affascinante filosofia del “pianificar facendo”, un approccio che non sarà messo in discussione nemmeno dalle successive amministrazioni, da Alemanno a Gualtieri passando per Marino e Raggi. L’urbanistica di Roma così passa attraverso gli accordi tra amministrazione pubblica e i privati possessori di aree. In sostanza lo sviluppo della città è legato allo stato dei rapporti tra aspettative di rendita delle grandi proprietà (non solo private, anche di enti pubblici come le Ferrovie, l’Inps, ecc) e ruolo di indirizzo pubblico.

 

Non si scorge il necessario equilibrio tra gli assetti urbanistici del territorio e l’interesse generale

A Roma si è tornati così all’urbanistica contrattata degli anni ’60, ma in modo subdolo a differenza del modello Milano. I programmi integrati di intervento, progetti di riqualificazione urbana, accordi di programma sono denominazioni creative ma la sostanza non cambia. La grave situazione delle finanze del Comune da oltre 20 anni ha contribuito a spostare l’ago della bilancia verso le grandi proprietà.

Continua a mancare quindi la capacità di ruolo e indirizzo pubblico, non si scorge il necessario equilibrio tra gli assetti urbanistici del territorio e l’interesse generale. Nonostante il Prg del 2008 fosse ispirato al blocco dell’espansione urbana e al recupero delle aree interne, lo sviluppo urbanistico è andato avanti come un treno che non risponde ai comandi del macchinista.

Soltanto nel quinquennio tra il 2016 e il 2021 sulla base dei dati Ispra e del Comune a Roma sono stati consumati 500 ettari di suolo in modo irreversibile. A fronte di ciò la popolazione è in costante calo, 120mila residenti in meno nello stesso periodo.

 

I fondi del Pnrr e Giubileo opportunità per riequilibrare ruolo pubblico e aspettative dei privati

La grande novità oggi sono le ingenti risorse a disposizione della Capitale, circa 10 miliardi tra Pnrr, Giubileo e l’opportunità offerta dall’Expo. E’ una straordinaria e irripetibile opportunità per riequilibrare il rapporto tra ruolo pubblico e aspettative di rendita delle proprietà fondiarie. Facile a dirsi, complicato a realizzarsi. Roma sul Pnrr è in grave ritardo, anche per la strutturale incapacità di spesa, un tratto distintivo non solo di Roma ma dell’intero Paese. Anche per il 2023 il bilancio preventivo della Capitale indica investimenti per 3 miliardi di euro, come nel biennio precedente ma a consuntivo la cifra ha solo sfiorato i 500 milioni.

La politica dovrebbe coinvolgere il capitale privato nell’utilizzo delle risorse ma vincolandole a programmi e interventi di interesse pubblico. Ipotesi razionale ma che ci rimanda al Prg del 1962: occorrono progetti e programmi concreti e sostenibili ma di tutto ciò non c’è traccia.

 

 

 

 

 

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