Reddito di cittadinanza: il flop dei lavori socialmente utili, ma il VII Municipio di Roma ci riprova 

La legge prevede che ogni ente locale può organizzare progetti sui quali impegnare senza retribuzione i destinatari del reddito per un massimo di 8 ore settimanali, elevabili a 16

La card

Ha provocato un certo clamore l’idea di impiegare i percettori del reddito di cittadinanza per la pulizia straordinaria di Roma promessa dal neo sindaco Roberto Gualtieri. Un’indiscrezione smentita dalla nuova maggioranza in Campidoglio. Invece è più di un’ipotesi al VII Municipio, il più popoloso della capitale. C’è la volontà di avviare un progetto che coinvolga i beneficiari del reddito di cittadinanza per la pulizia delle strade.

L’iniziativa ha trovato un sostegno convinto da chi vorrebbe l’abolizione della misura o almeno un deciso ridimensionamento, ma non mancano perplessità e riserve. Anche al VII Municipio la maggioranza è passata dai cinquestelle al Pd e il nuovo presidente ha avviato una ricerca di associazioni no profit che possano essere interessate alla riqualificazione del verde pubblico.

Il reddito di cittadinanza è tornato così al centro del dibattito politico anche in vista della legge di bilancio. Purtroppo emergono due criticità: la prima è che è stato trasformato in un totem che alcuni intendono abbattere mentre per altri è il simbolo di una stagione politica, breve, e il simbolo di una identità politica che non va sbiadita.

La seconda criticità è la memoria corta di cui sembra soffrire un pezzo consistente della classe dirigente che molto spesso dimentica persino i provvedimenti e le leggi che approva.

La norma che istituisce il reddito di cittadinanza prevede la possibilità di definire progetti nei quali coinvolgere i percettori del beneficio. Ogni ente locale può organizzare progetti di “lavori socialmente utili” sui quali impegnare senza retribuzione i destinatari del reddito per un massimo di 8 ore settimanali, elevabili a 16. E’ curioso che alcuni tra coloro che gridano allo schiavismo abbiano approvato il decreto che ha introdotto la possibilità dei lavori socialmente utili con l’ausilio dei percettori del reddito di cittadinanza.

Memoria corta perché già nel 2019 dalla capitale partì l’iniziativa di avviare un progetto per lavori socialmente utili. Fu il XV Municipio a varare il progetto per la pulizia e manutenzione delle scuole nell’area che comprende via Flaminia, via Cassia e Foro Italico. Il progetto però non è mai decollato concretamente.

Anche il VII Municipio alcuni mesi fa ha attivato le procedure per impiegare i percettori del reddito di cittadinanza. Ma è necessario, così prescrive la legge, istituire l’Albo degli enti del terzo settore. Peccato che non c’è stato il tempo per dar vita alla commissione responsabile della procedura il cui termine era l’11 ottobre scorso.

Analizzando i dati dell’Anci si può concludere che i lavori socialmente utili, o meglio i PUC (progetti di utilità per la collettività) sono stati un autentico flop. In totale poco più di 1.200 comuni li hanno avviati coinvolgendo poco più di 5mila percettori del reddito di cittadinanza.

Ancora una volta la burocrazia gioca a sfavore. Intanto per avviare i PUC il tempo a disposizione è soltanto sei mesi durante i quali è necessario definire il progetto, predisporre il bando, stipulare le assicurazioni a copertura delle persone coinvolte, sentire i centri per l’impiego e soprattutto destinare personale per svolgere le procedure, quindi risorse.

I lavori socialmente utili non rappresentano, tuttavia, la principale criticità del reddito di cittadinanza. Uno strumento per combattere la povertà ma che è stato disegnato con molte falle. A partire dalla verifica dei requisiti che avviene dopo l’erogazione e non prima. Ma la principale stortura sta nella confusione sulle finalità. Il sostegno ai poveri non è una misura di politiche attive, anche se persino l’Inps continua a catalogarla con quella modalità.

Il monitoraggio costante effettuato dalla Caritas e una accurata analisi realizzata dal Cnel evidenziano che la maggioranza dei percettori del reddito non è occupabile. E anche quelli che hanno firmato il patto per il lavoro e presi in carico dai centri per l’impiego presentano un tasso di occupazione potenziale peggiore rispetto ai disoccupati.

Anche le forze politiche che lo hanno sponsorizzato come i 5S e sostenuto durante il Conte Bis come Pd e +Europa all’atto pratico hanno mostrato di avere più di un dubbio, tant’è che l’anno scorso per fronteggiare la pandemia piuttosto che affinare il reddito di cittadinanza hanno varato il reddito di emergenza.

A quasi tre anni dall’introduzione servirebbero alcuni interventi di manutenzione. In particolare migliorare gli strumenti di misurazione delle condizioni economiche delle famiglie; mettere a punto il metodo per intercettare i falsi poveri e per remunerare meglio i poveri veri; introdurre una scala di equivalenza non discriminatoria verso le famiglie più numerose; migliorare gli incentivi al lavoro per chi è occupabile; progettare interventi adatti per chi non è occupabile.

C’è un comun denominatore su reddito di cittadinanza e lotta all’evasione che chiama in causa il funzionamento dell’apparato pubblico nei controlli. Nonostante siamo entrati nell’era dei big data, disponiamo di straordinarie tecnologie informatiche e digitali, la pubblica amministrazione rimane incapace di individuare i veri poveri ed i grandi evasori. Se non si inverte la rotta qualsiasi politica di equità sociale è destinata al fallimento.

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