Risparmio: su prestiti e mutui sta arrivando il freddo inverno

La discesa dei prezzi dell’energia avrebbe dovuto raffreddare l’inflazione che invece, dopo essere scesa in modo contenuto,  in aprile ha ripreso a salire

“Lo scenario è complesso a causa di un’inflazione testarda”. La definizione è di un alto dirigente della Banca d’Italia e illustra bene un contesto economico che non ha riscontri negli ultimi decenni. L’inflazione storicamente impiega poco tempo a infiammarsi ma è molto resistente quando deve scendere.

La crisi energetica ha innescato la corsa dei prezzi provocando la risposta delle banche centrali che hanno dato una stretta alla liquidità alzando i tassi di interesse. L’inversione a 180 gradi della politica monetaria ha sollevato molte critiche. Il ragionamento di fondo è che la spirale inflazionistica è alimentata dai prezzi dell’energia e non dalla pressione della domanda. La discesa dei prezzi energetici avrebbe raffreddato l’inflazione. Tale narrazione tuttavia non ha trovato conferme. I prezzi energetici sono scesi in modo consistente, i tassi di interesse nell’area euro in 12 mesi sono schizzati da zero al 4%, ma l’inflazione è scesa in modo contenuto. Anzi ad aprile c’è stato un aumento imprevisto che ha riportato l’indice sopra l’8%.

Il tasso medio dei prestiti sfiora il 4% e sui mutui il 3,80 

Osservando i dati degli Stati Uniti, con l’inflazione al 5%, forse l’area euro sconta il compromesso pasticciato tra falchi e colombe all’interno della BCE. I falchi vedono l’inflazione come il male assoluto e avrebbero voluto una risposta molto più forte con rialzi dei tassi più corposi. Le colombe ritengono invece che somministrare una cura molto robusta rischia di far morire il paziente (l’economia) invece di guarirlo (debellare l’inflazione).

All’interno della Banca centrale europea quindi è stato raggiunto un compromesso: i falchi hanno accettato rialzi dei tassi a colpi dello 0,25% invece dello 0,50% sollecitato, le colombe si sono impegnate ad anticipare la fine del quantitative easing (gli acquisti di titoli di Stato e obbligazioni private da parte dell’Eurosistema) che equivale a tagliare l’immissione di soldi nel circuito economico.

Anche se in modo più timido rispetto alla Federal Reserve la stretta monetaria della BCE ha inasprito le condizioni e la quantità di credito per famiglie e imprese. A luglio dell’anno scorso il tasso medio sui prestiti era al 2,18%, ad aprile sfiora il 4% mentre il tasso sui nuovi mutui per acquisto abitazioni è salito dal 2,4% al 3,80%.

La crescita dei prestiti progressivamente si è indebolita fino a invertire la tendenza in particolare sulla componente imprese. Non solo. Sta cambiando anche la composizione dell’indebitamento di imprese e famiglie. Per contrastare gli effetti economici della pandemia lo Stato italiano ha erogato sussidi intorno a 160 miliardi. Di questi ne sono stati utilizzati circa 40 miliardi mentre 120 miliardi sono andati sui depositi bancari di famiglie e imprese fornendo preziosa liquidità. Al tempo stesso l’abbondanza di liquidità ha suggerito alle aziende di ricorrere ai prestiti a medio e lungo termine per finanziare gli investimenti tagliando le linee di credito a breve.

A fine estate la situazione è destinata a peggiorare 

Una buona notizia per il sistema nel complesso in quanto l’indebitamento e breve è più sensibile alle variazioni del costo del denaro. Quella liquidità grazie alla pandemia ha rappresentato uno straordinario cuscinetto per fronteggiare la prima fase di balzo dei prezzi. Il temuto tsunami non c’è stato. Non c’è stata la catena di fallimenti temuta. Ma il cuscinetto si va esaurendo. Tra marzo e aprile il volume dei depositi bancari è sceso di 39 miliardi, le imprese hanno ripreso a utilizzare i finanziamenti a breve e le famiglie sono diventate più prudenti su credito al consumo e mutui.

Un tale scenario sarebbe ancora gestibile senza criticità particolari. Purtroppo si stanno moltiplicando i segnali di stretta creditizia. Le banche in sostanza, non per una loro volontà, sono obbligate a tagliare i volumi di prestiti che possono erogare. Soltanto lo stop del quantitative easing significa meno liquidità per 15 miliardi al mese. A fine estate inoltre la situazione è destinata a peggiorare quando le banche, in particolare quelle italiane, dovranno ripagare i crediti ottenuti dalla BCE con il programma Tltro3 (finanziamenti a bassissimo costo). Per rimborsare quei finanziamenti molte banche dovranno ridurre ulteriormente la liquidità disponibile per i finanziamenti a imprese e famiglie.

Meno liquidità dunque e a costi più alti (tassi di interesse) e con maggiori garanzie. Una miscela esplosiva per micro e piccole imprese che dipendono dai finanziamenti bancari e per le famiglie finanziariamente più fragili. Anche perché lo Stato italiano ha impellenti esigenze di finanziare il mostruoso debito pubblico. La situazione già difficile si complica in riferimento allo stato di salute del sistema bancario. Tre fallimenti negli Stati Uniti, il collasso dell’ex colosso Credit Suisse hanno alimentato un clima di timore sulla tenuta delle banche. Troppo recente il ricordo del 2007 quando la finanza globale venne travolta da una crisi senza precedenti. Le rassicurazioni della presidente della Bce, del ministro dell’Economia Giorgetti e della stessa Bankitalia sono importanti ma vogliono dire che i margini delle banche saranno tutelati, il rigore sulle sofferenze sarà assoluto, proprio per non ripetere la crisi di 15 anni fa. Insomma sta arrivando un freddo inverno per prestiti e mutui ma il governo Meloni sta ignorando la minaccia.

 

 

 

 

 

 

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