Roma/investimenti: un decennio di immobilismo da recuperare

Negli ultimi cinque anni una media annua di soli 300 milioni di investimenti rispetto al  miliardo nel periodo 2002-2006. Ora un tesoretto di un miliardo attende il nuovo sindaco, oltre ai fondi  del Recovery Plan

I numeri ed i bilanci possono essere noiosi e di difficile comprensione ma sono lo strumento insostituibile per valutare un’azienda, uno Stato e anche un ente locale.

L’entrata nel vivo della campagna elettorale per scegliere il nuovo inquilino del Campidoglio sembra mostrare una certa allergia nei confronti dei bilanci di Roma Capitale, forse pensando sia argomento da tecnocrati che non genera consenso. Invece guardando i numeri si possono smantellare alcuni luoghi comuni che sono diventati una sorta di marchio negativo nei confronti di Roma: bassa efficienza erariale e mancanza strutturale di risorse.

La realtà è decisamente diversa rispetto a come viene raccontata. La capitale vanta una elevata capacità fiscale e dispone di notevoli risorse finanziarie, peccato che spende pochissimo, in termini assoluti e relativi, per gli investimenti.

Sul primo punto è sufficiente ricordare che Roma, grazie alle ampie risorse fiscali, è il principale finanziatore del Fondo di Solidarietà Comunale con 210 milioni di euro. Tanto per fare un confronto è quasi il doppio rispetto a quanto versa il Comune di Milano.

Sul tema investimenti emerge invece la vera e grave debolezza della gestione del Campidoglio e ne caratterizza il bilancio ormai da quasi 15 anni. Dal 2008 ad oggi si è consolidato un vistoso squilibrio tra spese correnti (stipendi, acquisti di beni e servizi) e spese per investimenti (potenziamento e manutenzione delle reti e delle infrastrutture urbane). Tra il 2015 e il 2019 la spesa corrente è aumentata del 15% mentre quella in conto capitale è passata da 400 a 300 milioni con il record negativo nel 2018 (appena 191 milioni).

Una analisi realizzata dall’ex vice sindaco Marco Causi conferma la scarsa capacità di investire da parte del Comune di Roma. La spesa corrente per abitante a Roma è inferiore a Milano ma superiore rispetto a Torino, Bologna, Firenze e Napoli.

La nota dolente è sugli investimenti. Nella Capitale è di appena 67 euro per abitante contro i 276 di Milano, 290 di Napoli e 308 di Firenze. In cifre assolute, negli ultimi 5 anni gli investimenti del Comune ammontano a circa 300 milioni in media l’anno. Nel periodo 2002-2006 gli impegni di spesa in contro capitale superavano il miliardo l’anno.

La contrazione degli investimenti tuttavia non si limita al bilancio del Campidoglio. Sono in flessione la spesa per investimenti delle principali società partecipate (Atac, Acea, e AMA) per la mobilità e quella per la gestione dei rifiuti mentre soltanto nel servizio idrico integrato si registra una dinamica crescente degli investimenti da 60 a 90 milioni di euro l’anno. Alla sforbiciata della spesa per investimenti non sono estranei nemmeno lo Stato centrale e la Regione. La crisi del debito sovrano del 2011 e poi l’esplosione del debito di Roma Capitale hanno prodotto tagli ai trasferimenti ma resta il fatto che tre giunte (Alemanno, Marino e Raggi) e una gestione commissariale non evidenziano particolari differenze sulla composizione e la dinamica della spesa della capitale.

Il clima di immobilismo non solo ha prodotto un profondo ritardo nell’ammodernamento e nella manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni pubblici della capitale. Ha generato un progressivo allontanamento del capitale privato.

Una recente ricerca di Bnp Paribas real estate evidenzia la crescente disaffezione degli investitori verso l’immobiliare non residenziale. L’anno scorso gli investimenti sono franati a 900 milioni nella capitale, la metà rispetto all’anno precedente e un calo del 40% rispetto alla media dell’ultimo quinquennio. A Milano, nonostante la pandemia, gli investimenti privati hanno sfiorato i 4 miliardi.

Nella campagna elettorale trovano ampio spazio le polemiche sulla dotazione di risorse pubbliche per Roma ma c’è un silenzio assordante su strategie e iniziative per rendere attrattiva la capitale agli investimenti privati, in particolare sulla rigenerazione urbana che può contare sul potente effetto leva del Recovery Plan.

È vero che latitano visione e progetti per la città come testimonia il capitolo delle entrate da trasferimenti in conto capitale (appena 335 milioni l’anno scorso, un terzo rispetto a Milano) ma la paralisi delle manutenzioni non è questione di progettualità, piuttosto è un circolo vizioso di inefficienza burocratica e stratificazione normativa.

In ogni caso il nuovo sindaco di Roma potrà contare su un tesoretto da quasi un miliardo di euro di risorse impegnate per gli investimenti ma ancora non spese, sui fondi indicati nel Recovery Plan per il progetto Caput Mundi e per il polo dell’audiovisivo e sulle risorse per mobilità sostenibile, rigenerazione urbana per le quali saranno fondamentali capacità di confronto con il governo e rapido ammodernamento della macchina amministrativa in termini di qualità di progettazione e quadro regolamentare. Sta per finire il tempo delle politiche di piccolo cabotaggio e delle pretese di leggi speciali per la Capitale. C’è un decennio di immobilismo da recuperare.

 

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