Sciopero: la rissa serve a Landini e Salvini, ma rafforza la Meloni

La lega punta a riconquistare una centralità politica che la premier gli ha sottratto. I sindacati rivendicano un ruolo politico.

Il duro scontro sullo sciopero proclamato da Cgil e Uil mostra una serie di preoccupanti debolezze che investono la politica e il sindacato che hanno preferito la rissa, ma così facendo hanno evidenziato la pochezza della rivendicazione (sindacati), l’allergia alle critiche (governo), le fibrillazioni interne alla maggioranza (Salvini), il girare a vuoto dell’opposizione (Schlein e Conte).

Il leader della Lega ha aperto le ostilità con l’asprezza di chi sente il bisogno di identificare un nemico e non una controparte e soprattutto per riconquistare una centralità politica che la premier gli ha sottratto. Landini e Bombardieri non ci hanno pensato due volte ad accettare la rissa. Anche a loro serve il conflitto per rivendicare un ruolo politico. Ha ragione Giuliano Ferrara a dire che di tutto c’è bisogno tranne che di una contesa demagogica sul diritto di sciopero.

Lo scambio di pesanti accuse (scioperare il venerdì per fare il week end lungo, la precettazione è un attentato alla costituzione) ha finito per relegare in secondo piano le vere questioni di merito ed ha anche messo in discussione la terzietà delle autorità indipendenti. Un precedente pericoloso in quanto la delegittimazione dell’arbitro (la Commissione di garanzia per gli scioperi) porta solo frutti avvelenati.

 

Il Garante si è espresso in linea alla prassi consolidata nel corso degli anni

 

Lo sciopero è un diritto tutelato dalla costituzione come lo è il diritto alla mobilità, alla scuola ecc. E la costituzione rimanda alla legge la regolamentazione di tale diritto. Tant’è che l’Italia si è dotata nel 1990 di una legge per coniugare il diritto a scioperare con altri diritti della persona garantiti dalla carta costituzionale. Il Garante degli scioperi ha valutato che l’agitazione proclamata da Cgil e Uil non aveva le caratteristiche della mobilitazione generale in quanto molti settori erano esclusi dallo sciopero. Pertanto non potevano scattare le deroghe previste per i servizi pubblici come la possibilità di astensione dal lavoro nei trasporti per oltre 4 ore consecutive. Dunque una valutazione in linea alla prassi consolidata da parte del Garante nel corso degli anni, e non dettata dall’orientamento della nuova Commissione, nominata nei mesi scorsi dai presidenti di Camera e Senato espressione della maggioranza di destra-centro.

Il ricorso dei sindacati contro la precettazione è chiaramente strumentale. La precettazione di Salvini ha fondamento nella decisione del Garante scioperi così come è assolutamente legittimo lo sciopero. Il Garante infatti non valuta le ragioni delle mobilitazioni (il mese scorso si è pronunciato in questo senso per l’agitazione dei taxi) ma soltanto il rispetto della procedura di proclamazione e le modalità di svolgimento dello sciopero in quanto vanno garantiti alcuni servizi indispensabili come il pronto soccorso e i trasporti in determinate fasce orarie.

Lo sciopero inoltre presenta alcuni elementi quantomeno curiosi. È una agitazione a macchia di leopardo e scaglionata nel tempo sul territorio. L’unico settore che sciopera per due giorni è il trasporto pubblico. Il motivo è semplice, con il blocco della mobilità non possono andare al lavoro molti lavoratori che non devono scioperare.

 

La Cgil continua a muoversi come un partito politico più che come organizzazione che rappresenta i lavoratori

 

Nello scontro tra sindacati e Salvini c’è poi un elemento paradossale ma dal significato squisitamente politico. Il leader della Lega è quello più vicino alle rivendicazioni di Cgil e Uil. Landini ha deciso di scendere in piazza perché non può avallare alcuna misura del governo di destra e poi perché ritiene di essere l’unico movimento di vera opposizione all’esecutivo anche se non è in Parlamento. I rapporti con Conte e la Schlein non sono né buoni e né cattivi, semplicemente non esistono. Non a caso i leader di PD e M5S hanno disertato il palco di Piazza San Giovanni a Roma. La Cgil continua a muoversi come un partito politico più che come organizzazione che rappresenta i lavoratori. L’inversione di 180 gradi sul salario minimo è la conferma. Per oltre un anno contraria alla legge insieme al resto dei sindacati e delle organizzazioni datoriali, ha cambiato idea.

Da parte sua Salvini è uscito con le ossa rotte dalla legge di bilancio. Ha dovuto ingoiare il mantenimento della legge Fornero che non può essere compensato dal Ponte sullo Stretto. Osserva la premier e il collega-nemico di partito Giorgetti che predicano ogni giorno prudenza sui conti pubblici e attenzione alla reazione dei mercati e ai giudizi delle agenzie di rating. Insomma il sovranismo pronto a sfidare l’Europa e i poteri forti è solo un flebile ricordo. Il dramma politico della Lega è che il conto politico lo paga Salvini che continua a perdere consensi e non la Meloni che anche sullo sciopero si è tenuta in disparte.

La premier ha già archiviato il capitolo manovra ed è protesa sulla riforma costituzionale per introdurre il premierato. Stranamente la legge di bilancio blindata ha raccolto poche e timide critiche, anche da parte delle associazioni delle imprese che pagano il conto più salato. Tra nuove imposte, rifinanziamenti parziali di alcuni incentivi e l’abolizione dell’ACE nella delega fiscale per le imprese il saldo netto è negativo per quasi 7 miliardi. In pratica finanzieranno la metà del taglio del cuneo fiscale. Con buona pace dei poteri forti, del sindacato e delle opposizioni.

 

 

 

 

 

 

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