Domenica 20 giugno, ovvero fra poco, tra le 8 alle 21, il popolo della sinistra romana sarà chiamato ai gazebo o al voto online per scegliere il candidato sindaco da schierare nelle prossime elezioni amministrative che si terranno ad ottobre.
Un tempo, sembra passato un secolo, questo appuntamento era profondamente sentito da elettori e simpatizzanti. Lanciate da Romano Prodi nel 2005 per scegliere il candidato della coalizione di centrosinistra alla presidenza del Consiglio (si sarebbe votato l’anno successivo), le primarie, svoltesi in tutta Italia, chiamarono ai gazebo oltre quattro milioni di cittadini (per la cronaca Prodi vinse a mani basse con oltre tre milioni di voti).
Da allora, l’istituto delle primarie è stato, si può dire, la norma per la sinistra e si è ricorso ad esso sia per le elezioni dei segretari del Pd, sia per scegliere i candidati alla presidenza delle Regioni, sia per la scelta del candidato-sindaco. Ma da strumento, possiamo dire, di “democrazia diretta”, ovvero facendo scegliere al proprio “popolo” chi doveva rappresentarlo, oggi si è passati a una manifestazione politica, ad una “chiamata alle armi” di elettori e simpatizzanti.
Perché diciamo questo? Perché le primarie, nel tempo, sono diventate per il Pd occasione di scontro fra le correnti del partito, l’una contro l’altra armata, per affermare la propria forza ed avere più potere contrattuale nelle nomine dei ministri e degli altri posti di governo, nonché nell’ampio bosco del sottogoverno. Questo ha fatto sì che i segretari nazionali del Pd, sia pure eletti con un voto popolare, fossero limitati nell’esercizio del loro mandato dalle logiche correntizie. Il che ha provocato spesso le loro dimissioni (ultimo caso quello di Nicola Zingaretti).
Enrico Letta, subentrato senza primarie al presidente della Regione Lazio al Nazareno con il voto quasi unanime della Direzione del partito, ha cercato di tagliare le unghie alle correnti e, per esempio, a Roma ma non solo, ha vietato che ci fossero più esponenti del Pd a contendersi la candidatura a sindaco.
Dunque, le primarie che si terranno domenica nella Capitale, hanno già un vincitore indiscusso: Roberto Gualtieri. L’ex ministro dell’Economia del governo Conte-due, non ha rivali in grado di insidiargli l’investitura. I sei, non ce ne vogliano, che, oltre lui, si presentano al vaglio degli elettori di sinistra non hanno un grande peso elettorale e sono destinati al ruolo di comparse. Questi i loro nomi: Emma Battaglia, Giovanni Caudo, Paolo Ciani, Stefano Fassina, Cristina Grancio e Tobia Zevi.
Al voto si arriva infine tra le polemiche. Il confronto dei sette aspiranti sindaco si è svolto allo “Spin Time”, in via di Santa Croce in Gerusalemme, in un palazzo occupato abusivamente da nove anni, il che ha scatenato le critiche della sindaca Virginia Raggi, dal candidato del Centrodestra Enrico Michetti e da Carlo Calenda, leader di “Azione”. Polemiche che hanno non poco imbarazzato il Pd. Comunque domenica si vota. Non essendoci nessun dubbio su chi sarà il vincitore delle primarie, gli unici dati importanti saranno quelli dell’affluenza al voto (a Torino non è andata molto bene) e sulla percentuale raccolta da Gualtieri.