Nel dibattito per le elezioni romane, l’economista Antonio Preiti sul dorso romano de ‘’Il Corriere della Sera’’, rileva acutamente che c’è poco della tradizionale discussione politica.
Calenda sin dall’inizio si è definito un candidato civico e il centro del suo discorso è Roma con i suoi problemi e le sue possibili soluzioni. Michetti ha dichiarato di essere del tutto disinteressato alla politica nazionale e ha aggiunto di volere un’amministrazione «che non sia di destra, di sinistra o di centro». La stessa Raggi mantiene stretto il legame con il Movimento Cinque Stelle, ma non si esprime molto sui temi politici nazionali. Resta solo Gualtieri sul solco nazional-locale delle tradizionali campagne elettorali.
Vediamo allora – rileva Preiti – chi avrà il miglior disegno per Roma, chi saprà immaginare con più lucidità i cambiamenti post-pandemia; chi vedrà lo sviluppo urbano che dovrà fare i conti anche con meno richieste di spazi per gli uffici; chi accompagnerà la crescita delle «piccole città» dentro Roma, chi risolverà il problema delle abitazioni senza creare ghetti e senza illegalità, chi vorrà modernizzare i servizi comunali. Insomma, chi proporrà il migliore agire su Roma. Sarà civico, sarà politico?
Noi rispondiamo che l’elettore che sceglierà Calenda, Marchetti o la Raggi, terrà in grande considerazione la personalità del candidato e le risposte che saprà dare alle domande ‘’fondamentali’’ poste da Preiti. Ma ci chiediamo anche fino a che punto ci si può fidare di un uomo o di una donna che da ‘’soli’’ possano rivestire un ruolo così strategico, come quello di invertire il trend di continua decadenza della Capitale, aggravato dalla Pandemia?
Un decadenza della quale , tra l’altro, Virginia Raggi è certamente meno responsabile, rispetto all’inconsistente appoggio, anzi talvolta l’aperto contrasto, del suo partito, i cinquestelle. E al di là delle banalità sui limiti personali, le difficoltà incontrate dalla sindaca, dimostrano quanto il successo dell’azione di governo della città non possa prescindere da un’appartenenza politica adeguata. Che aiuti a pensare in grande, a saper prevedere a lungo termine, coordinate, che caratterizzano una politica sia pure tradizionale, ma quanto mai utile.
In questi giorni sono circolate indiscrezioni rispetto la squadra di ‘’governo’’ che Gualtieri sarebbe intenzionato a mettere in campo. Negli ambienti politici a lui vicini si tratterebbe di anticipazioni premature. Però è certo – si sottolinea- che la scelta ricadrebbe su politici con una caratura nazionale, come dire di esercitata esperienza politica.
La ‘’pausa’’ che i partiti si sono potuti concedere, grazie all’avvento di Mario Draghi alla Presidenza del Consiglio, non è applicabile alle prossime elezioni amministrative. E’ indubbia la figuraccia dei ritardi nella scelta dei candidati, che avrebbero dovuto già essere ‘’in corsa’’, subito dopo i risultati della tornata elettorale precedente.
Ma è auspicabile, anzi necessario, che la battaglia elettorale di questo autunno risvegli la politica cosiddetta ‘’tradizionale’’, che è l’unica che conosciamo e che ci porta a votare. Altrimenti l’assenteismo dilagherà, come è appena successo in Francia. Indebolendo ulteriormente la già fragile democrazia di fronte a un economia per ogni città e regione, indistintamente, che potremmo chiamare ‘’di guerra’’, anche se ancora non ne abbiamo del tutto coscienza. “