E dopo tanto penare anche la storia romana di Spelacchio volge al termine. Soggiorno difficile e controverso il suo. Dal silenzio luminoso della Val di Fiemme allo strepito del centro Città. Denigrato, irriso, morto e resuscitato più volte, giudicato dai media di mezzo mondo, immortalato come esempio di malamministrazione della Capitale; con grande dignità e forza è rimasto al posto che, suo malgrado, gli era stato assegnato.
A sostituire i rametti e gli aghi che, man mano si sono dispersi in p.zza Venezia sono comparsi i bigliettini di affetto e di solidarietà dei Romani e dei turisti. Perché in questo Natale, un po’ sottotono e molto intorbidato dalle questioni politiche, Spelacchio ha ricoperto, nel bene e nel male, un ruolo di primo piano. Anzi è stato, forse a malincuore, il vero protagonista sulla scena del nulla cittadino e nazionale. Si dice che ora tornerà (da cadavere) alle sue montagne per essere riconvertito in “cose” non meglio definite.
Roma resta, così, senza simbolo delle passate feste. Ma a ricordarcele rimangono in ogni angolo e ben ancorati al territorio cumuli di resti del Natale e dei vari festeggiamenti conseguenti. Dappertutto è un triste apparire di scatole di panettone, spumanti, carte colorate e imballi di doni. Senza contare le piantine e le composizioni così tipiche e deliziosamente nordiche da essere diventate, oggi, fuori tempo massimo.
E quindi, nella corsa frenetica, a liberarsene nessuno, ma proprio nessuno fa caso a dove e a come “gettarli”.














