Superbonus 110%: come si è trasformato in arma mortale

Dopo le continue modifiche alla normativa migliaia di imprese rischiano il fallimento a causa di un meccanismo finanziario che le penalizza.

Il Superbonus 110% e i bonus minori per l’edilizia rischiano di trasformarsi in una autentica follia economica. Misure di stimolo per un settore determinante che fanno correre il Pil, ma al tempo stesso pregiudicano la sopravvivenza di migliaia di imprese.

Sembra paradossale ma purtroppo è la realtà che emerge dalle continue modifiche a un meccanismo che finisce per alimentare incertezza tra le imprese, i cittadini, le banche e gli intermediari finanziari nel complesso. Un elemento dirimente dei bonus all’edilizia è la facoltà dello sconto in fattura e cessione del credito d’imposta che consente al cliente di incassare l’incentivo alla firma del contratto cedendo all’impresa o a terzi il relativo credito d’imposta.

E’ questo il vero volano degli ecobonus, più che la dimensione dell’incentivo stesso.

La stretta sulla cessione dei crediti non contrasta le frodi e paralizza il mercato

Governo e Parlamento davanti a episodi di frodi sono intervenuti con una stretta alla cessione dei crediti, limitando fortemente il numero dei passaggi. Intervento maldestro perché non contrasta i comportamenti fraudolenti. Un credito falso è tale già alla prima cessione.  Una volta entrato nel circuito se viene scambiato una o più volte non cambia la natura.

L’effetto della stretta è stata la paralisi del mercato della riqualificazione edilizia come si può osservare dal monitoraggio sul Superbonus realizzato mensilmente da Enea. A gennaio e febbraio il volume dei lavori autorizzati al Superbonus è stato rispettivamente 16mila e 9mila rispetto alla media di oltre 20mila nei mesi precedenti.

E’ iniziato allora il valzer degli interventi correttivi per far ripartire le cessioni dei crediti. In appena cinque mesi siamo arrivati alla sesta modifica della disciplina sulla cessione dei crediti fiscali legati alle detrazioni per i lavori edilizia. Ultima in ordine di tempo il cosiddetto Decreto aiuti. Il provvedimento introduce due novità rilevanti: consente agli intermediari finanziari (banche e assicurazioni) di cedere i crediti d’imposta ai propri correntisti senza dover attendere le due cessioni possibili tra intermediari riducendo così costi e tempi.

L’altra novità è che tali crediti possono essere venduti soltanto ai correntisti professionali. Le banche non potranno vendere i crediti a tutte le persone fisiche che hanno un conto corrente senza la qualifica di cliente professionale.

Circa 8 miliardi ancora in pancia alle imprese che non riescono a cedere i crediti

La domanda è se tali correttivi consentiranno di far ripartire il mercato. Al riguardo ci sono forti dubbi. Innanzitutto perché le nuove disposizioni si applicano esclusivamente alle prime cessioni crediti effettuate dal primo maggio scorso. Il problema è lo stock di crediti del 2021. Tra Superbonus e incentivi minori il totale dei lavori edilizi che hanno beneficiato di bonus l’anno scorso ha superato i 60 miliardi di euro. Non tutti hanno voluto vendere il credito che comporta uno sconto anche sensibile: per il 110% intorno al 12% in quanto si può spalmare in 5 anni, mentre per il 65 e il 50% si arriva oltre il 22% in quanto sono crediti decennali.

Non ci sono dati ufficiali su lavori che hanno dato luogo alla cessione del credito ma alcune stime indicano una cifra intorno ai 40 miliardi. Di questi oltre 10 miliardi sono stati acquisiti dalle banche, qualche miliardo dalle compagnie di assicurazioni e altre istituzioni finanziarie. Altri 10 miliardi sarebbero stati acquistati da grandi gruppi che operano nel settore come Eni, Enel e altre grandi imprese della filiera con notevole capienza fiscale. Si può ipotizzare che 7-8miliardi siano ancora in pancia a imprese che non riescono a cedere tali crediti.

Un problema che richiede un’adeguata soluzione politica

Al netto delle disposizioni di legge dopo la prima stretta, molte istituzioni hanno fiutato un nuovo clima. La volontà del Governo di annacquare gli incentivi. Non è una semplice coincidenza che Poste, Cdp e molte banche, anche se a controllo privato, abbiano manifestato una certa freddezza verso un asset che garantisce loro consistenti guadagni a rischio zero (il credito d’imposta è più sicuro di un titolo di Stato) ma sul quale le continue modifiche normative alimentano diffidenza.

Le imprese della filiera che opera nella riqualificazione tra costruzioni, impiantisti e serramenti ammontano a circa 750mila. Impossibile conoscere il numero di quelle con crediti d’imposta che non riescono a smobilizzare, ma se fosse anche il 3% si tratta di oltre 20mila a rischio fallimento. Obbligate per legge ad anticipare un credito ai clienti per conto dello Stato, in media il 70% del proprio fatturato che sarà recuperato in 5 anni (Superbonus) o addirittura in 10, ammesso che abbiano la necessaria capienza fiscale.

L’assurdo paradosso è che un settore che continua a mostrare tassi di crescita sostenuti rischia di veder cancellate migliaia di imprese a causa di un meccanismo finanziario che le penalizza. Non è più una questione di normativa, è diventato un serio problema economico che richiede una adeguata soluzione politica.

 

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