Superbonus: la norma ‘’miracolosa’’ fa litigare anche la maggioranza della Meloni

Ha generato oltre 400mila nuovi posti di lavoro e contribuito per un terzo alla forte crescita del Pil degli ultimi due anni, nonostante che tre governi abbiano cercato di modificarla.

Qualche schermaglia all’interno della maggioranza sulla legge di bilancio è assolutamente fisiologica così come l’inclinazione del Parlamento a non essere un semplice notaio ma avere qualche spazio di manovra nell’ambito delle risorse da spendere. In Senato i numeri della maggioranza non sono bulgari e qualche mal di pancia potrebbe trasformarsi in incidenti di percorso. Ipotesi da scongiurare tanto che da Palazzo Chigi è stata accordata la disponibilità al Parlamento di gestire circa 700 milioni di euro per apportare alcune modifiche al ddl bilancio che entrerà nel vivo delle votazioni nei prossimi giorni.

Su alcune partite, quelle principali, la strada sembra in discesa, in particolare sostegni contro il caro-bollette e tetto al contante. Ci sono però tre capitoli sui quali il Governo dovrà stare attento alle sollecitazioni che arrivano dalle forze politiche che lo sostengono. Allentare i criteri su opzione donna, innalzamento delle pensioni minime e il Superbonus 110% per la riqualificazione degli immobili.

Forza Italia è intenzionata a portare a casa un po’ della torta anche per riparare i niet della Meloni durante la composizione del Governo. Anche Salvini pretende qualcosa in più sulle pensioni.

Palazzo Chigi e il ministero dell’economia non vogliono cedere 

Palazzo Chigi e soprattutto il ministero dell’Economia non vogliono cedere considerando che la manovra deve ancora passare l’esame delle istituzioni europee nonostante l’intonazione restrittiva della legge di bilancio. Mancano risorse per il rifinanziamento di misure di stimolo agli investimenti come la Nuova Sabatini (3,5 miliardi di contributo pubblico hanno attivato investimenti privati pari a 45 miliardi) e Transizione 4.0. L’esecutivo, su input dei ministri Fitto e Urso spera di recuperare quelle risorse dal Pnrr, ma il cronoprogramma non mostra ritardi solo sulle opere da realizzare, anche sul fronte amministrativo. Le riforme della giustizia e quella sul fisco, la legge sulla concorrenza sono ancora in alto mare e con frizioni evidenti dentro la stessa maggioranza, in particolare su giustizia e concorrenza.

Il Superbonus è diventato così il principale elemento di frizione tra governo e pezzi della maggioranza. E’ quasi paradossale che una misura di incentivazione abbia alimentato contrasti più o meno evidenti negli ultimi quattro governi. Soltanto il M5s che l’ha concepita continua a difenderla senza se e senza ma. E’ stata tiepida la Lega nel governo giallo-verde, il Pd in quello successivo, Draghi ha cercato di svuotarla senza abolirla e tra i primi atti del governo a guida Meloni c’è stato l’intervento a gamba tesa del ministro dell’Economia Giorgetti che con decreto ha modificato intensità del beneficio dal 110 al 90% a partire da gennaio e ha ridotto al 25 novembre dal 31 dicembre la finestra per l’utilizzo, anche se ora ritorna la possibilità di tornare alla vecchia scadenza.

Il Superbonus è diventata la lente per osservare l’approccio delle forze politiche su temi di rilevante interesse. Da un lato c’è il simbolismo delle norme. Più che efficacia e sostenibilità si misura l’identità politica delle norme. Dall’altro c’è il tentativo di cancellare o smontare misure dei governi precedenti. Non sempre è possibile come insegna il reddito di cittadinanza. La Lega era contraria, ma l’ha fatto nascere. Il PD votò contro, ma oggi ne è diventato un paladino.

16 modifiche legislative in due anni 

Il punto è che le norme dovrebbero essere misurate in un arco di tempo congruo, valutare le criticità ed eventualmente modificarle. Il Superbonus è stato oggetto di 16 modifiche legislative in due anni alle quali sommare gli 11 interventi che hanno cambiato le condizioni per la cessione dei crediti.

Un incentivo pubblico del 110% è sproporzionato? Certamente sì anche se la vera molla è stata la possibilità dello sconto in fattura. Infatti anche i bonus edilizi del 65% e del 50% hanno avuto una crescita importante. L’opzione per il cliente di non anticipare nemmeno un euro è stato il volano del settore delle costruzioni, dall’edilizia agli impiantisti. La filiera delle costruzioni ha generato oltre 400mila nuovi posti di lavoro ed ha contribuito per un terzo alla forte crescita del Pil degli ultimi due anni. Meloni e Giorgetti gridano che c’è un buco da 40 miliardi nei conti pubblici, ma non fanno alcun cenno al fatto che l’aumento del Pil nel 2022, la crescita occupazionale, le maggiori entrate Iva e contributive vengono da lì.

Se gli incentivi devono essere sostenibili per le casse pubbliche, lo sconto in fattura deve essere sostenibile per il sistema delle imprese. Può un’azienda realizzare un lavoro che vale 100mila euro e incassare la somma in 5 anni attraverso le compensazioni fiscali e contributive? Assolutamente no. Ecco allora che la cessione del credito rappresenta la seconda gamba fondamentale per consentire al mercato di avere un equilibrio economico. Se la cessione del credito non funziona si paralizza il mercato della riqualificazione, circa 70 miliardi l’anno (rispetto ai 25-26 miliardi del periodo 2015-2018).

Da un anno ormai la politica si interroga su come depotenziare il Superbonus, ma al tempo stesso ha provocato la paralisi del mercato dei crediti. E ancora oggi all’orizzonte non si vede una soluzione. Al di là delle frodi (poche) le imprese che hanno realizzato i lavori hanno il diritto di essere pagate, tanto più che lo Stato continua a riconoscere benefici ai cittadini e chiede alle aziende di anticipare i soldi.

 

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