Tensioni su Pnrr: destinato al fallimento se non coinvolge i privati

Alcuni ambiti come la transizione green, l’economia circolare e la digitalizzazione avrebbero enormi benefici. L’esigenza non è la rapidità della spesa, ma la qualità

L’aspro confronto politico sui rischi di ritardi nella realizzazione del Pnrr, e perdita di soldi, è piuttosto confuso, affronta solo marginalmente le vere questioni. Ogni protagonista, a partire dal Governo, è ossessionato dalla prospettiva di rimanere con il cerino in mano e si assiste così a esercizi quotidiani nel tentativo di scaricare colpe e responsabilità su altri.

Anche riconosciuti esperti come Tito Boeri e Roberto Perotti offrono analisi parziali, concentrandosi soltanto sugli errori commessi e arrivando a incolpare i precedenti governi, in particolare il Conte 2, di aver ottenuto troppi soldi senza sapere come spenderli. Le gravi carenze infrastrutturali del Paese, dalla banda larga alla rete idrica, dal sistema ferroviario nel Mezzogiorno alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, richiedono al contrario centinaia di miliardi di investimenti.

E non è vero che l’incapacità di spesa dipenda dalle storture del codice degli appalti e dalla pletora delle stazioni appaltanti.

L’alibi del vecchio codice degli appalti pubblici

L’anno scorso gli appalti pubblici erano regolati da ben tre codici diversi: oltre al codice degli appalti in via di pensionamento dopo appena sei anni, era ancora in vigore la procedura straordinaria per il Covid e il codice specifico per gli appalti del Pnrr, a conferma che quando si parla di norme e leggi l’Italia primeggia per abbondanza e complessità.

La realizzazione del Pnrr ha richiesto la definizione di un percorso che va ben oltre la mera allocazione delle risorse per capitoli di spesa. La prima fase, quella gestita dal Governo Draghi, ha riguardato le scadenze, le riforme da realizzare richieste dalle istituzioni europee, propedeutiche alla messa a terra degli investimenti.

Parallelamente doveva svilupparsi la programmazione della spesa concentrandosi sulle criticità del sistema e sulle priorità.

E’ su questo passaggio che è iniziato il corto circuito. La pubblica amministrazione ha progressivamente ridotto la spesa per investimenti che tra il 2013 e il 2021 ha raggiunto a stento i 20 miliardi l’anno. Per impiegare le risorse del Pnrr e dei programmi pluriennali serve salire a 60 miliardi l’anno.

Come fare? I governi Draghi e Meloni hanno l’identico approccio. Lo Stato centralista individua gli investimenti e poi li realizza, direttamente, in larga parte, partecipando a quelli delle principali aziende pubbliche e infine attraverso gli enti locali, ai quali sono destinati 44 miliardi di euro soltanto dal Pnrr.

Per i progetti ‘’best practice’’ da imitare piuttosto che imbarcare tecnici

Ed è qui che entrano in gioco le stazioni appaltanti. Probabilmente sono troppe, anche se non è chiaro in base a quale principio. Il problema sono qualità ed efficienza e su questo fronte non si registrano progressi. Draghi ha scelto la creazione di una task force di tecnici (un migliaio ma ancora molti da assumere) da mettere a disposizione degli enti locali. Impostazione confermata dalla Meloni.

Qualcuno aveva proposto un’alternativa che non è stata presa in considerazione. Lo Stato centrale avrebbe dovuto creare una banca dati per mettere a disposizione le ‘’best practice’’ in termini di procedure dei bandi, e definire dei modelli in funzione delle opere da realizzare.

A titolo di esempio per realizzare un asilo nido il ministero mette a punto un progetto-tipo  che poi i singoli comuni adottano evitando di ingolfare la task force di richieste e consulenza disparate.

L’altro elemento di continuità tra Draghi e Meloni è la chiusura netta verso i privati. Le risorse pubbliche sono gestite dallo Stato. Il ruolo dello Stato invece dovrebbe essere in primo luogo quello di definire gli obiettivi di interesse pubblico e per realizzarli il contributo del capitale e dell’impresa privata andrebbero stimolati.

Lo Stato non è riuscito a spendere 1,5 miliardi per riqualificare i suoi immobili

Alcuni ambiti del Pnrr come la transizione green, l’economia circolare, la digitalizzazione avrebbero enormi benefici coinvolgendo i privati. Il Superbonus presenta certamente criticità, ma in due anni i privati hanno investito oltre 100 miliardi per il miglioramento dell’efficienza energetica degli immobili. Lo Stato non è riuscito ancora a spendere 1,5 miliardi per la riqualificazione degli immobili pubblici.

L’incapacità pubblica di ricoprire qualsiasi ruolo, senza considerare evidenti casi di conflitto di interesse, sta producendo una situazione di estrema incertezza, facendo prevalere l’ossessione di spendere le risorse a prescindere.

C’è un duplice rischio. Il primo è quello di voler accelerare per spendere in tempi rapidi, ma l’esigenza del paese non è tanto la rapidità quanto la qualità della spesa. Il secondo è rimescolare il piano puntando sulle opere che si possono realizzare nel minor tempo possibile. Un criterio discutibile in quanto la priorità non è spendere i soldi, ma investirli per opere prioritarie.

Rivedere il piano non è un dramma. Anzi è auspicabile perché è stato concepito in un contesto politico ed economico che è radicalmente cambiato. Privilegiare gli investimenti energetici orientati a ridurre consumi ed emissioni dovrebbe essere un’opzione naturale. Coinvolgere i privati per realizzare nuovi impianti green, sviluppare l’economia circolare e la riqualificazione del patrimonio immobiliare nonché delle periferie dovrebbe essere la logica conseguenza.

 

© StudioColosseo s.r.l. - studiocolosseo@pec.it
Il Sito è iscritto nel Registro della Stampa del Tribunale di Roma n.10/2014 del 13/02/2014