Termovalorizzatore per Roma: argomenti deboli di chi è contrario, ma la strada è in salita

Le direttive europee e le leggi italiane prevedono che tutti i rifiuti che non possono essere preparati per il riutilizzo e/o riciclati vengano recuperati, compreso anche il recupero energetico

termovalorizzatore

Lo scontro sulla realizzazione del termovalorizzatore a Roma racchiude una serie di elementi per comprendere le difficoltà della politica a fornire risposte ai cittadini e lo stato di dissesto dell’architettura istituzionale del Paese. La capitale convive con l’emergenza rifiuti da oltre dieci anni, attraversando quattro diverse amministrazioni, nessuna delle quali è stata capace di disegnare e avviare un piano credibile. L’annuncio del sindaco Roberto Gualtieri di voler realizzare un termovalorizzatore da 650mila tonnellate con un investimento da 6-700 milioni ha provocato una spaccatura con il M5S che è arrivata dentro il consiglio dei ministri con l’astensione dei ministri grillini. E le frizioni si sono estese alla Regione Lazio dove Pd e M5S sono alleati.

Al sindaco Gualtieri vengono mossi due rimproveri: il primo è che nel programma presentato in campagna elettorale non c’era alcun riferimento al termovalorizzatore. Il secondo è che la realizzazione dell’impianto contrasta con gli orientamenti comunitari e rappresenta un salto all’indietro sulla gestione dei rifiuti.

Negli ultimi sei anni la differenziata è addirittura scesa e si attesta al 45% mentre la produzione di rifiuti staziona intorno a 1,8 milioni di tonnellate l’anno

La realtà è profondamente diversa. Semmai sarebbe da chiedere come mai soltanto oggi la capitale decide di dotarsi di un impianto indispensabile per avviare l’uscita dall’emergenza. La politica per anni ha illuso i cittadini che i rifiuti potevano essere trattati fuori dal perimetro di Roma Capitale. Anzi la precedente amministrazione aveva messo nero su bianco che nel 2021 Roma avrebbe raggiunto l’80% di raccolta porta a porta e nel 2024 sarebbe stata una città a rifiuti zero. Obiettivi ad elevato tasso ideologico ma a bassissimo indice di concretezza. Negli ultimi sei anni la percentuale di differenziata è addirittura scesa e si attesta al 45% mentre la produzione di rifiuti staziona intorno a 1,8 milioni di tonnellate l’anno e non conosce contrazioni. La conseguenza è che il Campidoglio spende cifre astronomiche per dirottare i rifiuti verso gli impianti di smaltimento, fino in Germania.

Non è vero che i termovalorizzatori siano in contrasto con le politiche europee di riduzione delle emissioni e di sostenibilità ambientale. Le direttive europee e le leggi italiane prevedono che tutti i rifiuti che non possono essere preparati per il riutilizzo e/o riciclati vengano recuperati, compreso anche il recupero energetico. A tale scopo una soluzione largamente utilizzata in Europa è appunto l’incenerimento ad elevata efficienza energetica.

Una larga parte dei rifiuti (25-30%, 8-9 milioni di tonnellate in Italia) per ragioni economiche o per caratteristiche tecniche non è riciclabile.

Spesso si tende a sottovalutare la capacità del progresso tecnologico. Negli ultimi anni gli inceneritori sono diventati impianti con performance notevoli, ad alta efficienza energetica (circa l’85% della produzione di calore con livelli di emissioni ben inferiori a quelli di impianti alimentati da fonti fossili). Esistono diversi studi indipendenti che indicano per l’Italia la necessità di realizzare almeno 6-7 termovalorizzatori da aggiungere ai 37 attuali. Cifra che impallidisce davanti ai 140 impianti nella vicina Germania. Tali impianti inoltre non impongono di portare la raccolta differenziata a percentuali sopra l’80% per renderla efficiente.

C’è un grande equivoco di fondo, alimentato da chi sostiene che bruciare i rifiuti non incentiva il circuito del riutilizzo. Il riciclo viene effettuato, ad eccezione della frazione organica, dall’industria e non da chi gestisce i rifiuti e al riguardo è la legge che indica obiettivi chiari. Una larga parte dei rifiuti (25-30%, 8-9 milioni di tonnellate in Italia) per ragioni economiche o per caratteristiche tecniche non è riciclabile. Le norme europee e italiane sono chiare: recupero, ovvero, recupero energetico.

La normativa italiana sul riciclo negli ultimi dieci anni ha prodotto un ambiente di estrema confusione tra gli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni.

L’era del bruciare deve lasciare il posto al riciclo è la nuova frontiera ambientalista. Certamente favorire lo sviluppo dell’economia circolare dovrebbe rappresentare una priorità della classe politica ma troppo spesso è relegata a tema da convegni.

La foresta pietrificata della burocrazia e la tendenza del legislatore verso la complessità normativa sono avversari invincibili anche per l’economia circolare. Basti pensare che le imprese del settore moda preferiscono trattare come rifiuti l’80% degli scarti rinunciando a oltre 2 miliardi valore a causa di norme poco chiare e il rischio di sanzioni elevate. La normativa italiana sul riciclo negli ultimi dieci anni ha prodotto un ambiente di estrema confusione tra gli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni. Il principio del “caso per caso” non era chiaro nel recepimento della direttiva 98 del 2008, viene affermato nel 2016 ma nel 2018 è cancellato da una sentenza del Consiglio di Stato per riapparire con il decreto sblocca cantieri ma facendo riferimento a una normativa superata dall’avanzamento dei processi tecnologici.

Naturalmente annunciare il termovalorizzatore è solo l’inizio. Decidere l’area, elaborare ed approvare il progetto, realizzarlo sarà la parte complessa. A rendere il percorso ancora più accidentato la mancanza di una vera autonomia legislativa per Roma, per cui si ricorre ai poteri straordinari del commissario-sindaco. Ma una grande capitale non può essere governata affidandosi ai poteri speciali.

 

 

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