Città del Messico, l’Atlantide Centroamericana

A Roma è normale vedere i nasoni erogare acqua senza sosta, sprecando una risorsa così preziosa. Ma non tutte le città del mondo si possono permettere un tale lusso. Tante poi puntano a rendere più efficiente l'utilizzo di un bene scarso che in futuro rischia di costare sempre di più

Il Palazzo delle Belle Arti a Città del Messico photo credit: Daniel Manrique (roadmr@entropia.com.mx) GNU Free Documentation License

A Roma è normale vedere i nasoni erogare acqua senza sosta, sprecando una risorsa così preziosa. Ma non tutte le città del mondo si possono permettere un tale lusso. Tante poi puntano a rendere più efficiente l’utilizzo di un bene scarso che in futuro rischia di costare sempre di più. A Città del Messico, per esempio, il rischio idrico è diventato un problema talmente grave che i pozzi sono sopraelevati di otto metri rispetto al terreno circostante. Ma il governo è intervenuto per tentare di invertire la rotta in una processo che metteva a rischio la città e il benessere della collettività.

La storia è lunga e affonda le radici in un passato di cento anni fa. I pozzi in questione vennero costruiti all’inizio del Novecento, quando la città contava solo 345.000 abitanti, garantendo il fabbisogno idrico di un centinaio di persone ciascuno. Allora proliferavano questi piccoli pozzi, ancora saldamente ancorati al terreno. Ma in soli 20 anni gli abitanti raddoppiarono, e nel 1930 contavano più di un milione. Con loro crebbe anche il fabbisogno idrico, e l’acqua estratta superò ben presto il tasso di ricarica naturale delle falde. Ben presto i piccoli pozzi rimasero inutilizzati e vennero sostituiti da pompe di ben altro calibro.

Ma la risorsa idrica non era infinita, né la conformazione geologica delle falde acquifere adatta a questo tipo di sfruttamento. Città del Messico poggiava infatti sul ormai prosciugato bacino del lago Texcoco, dove un tempo sorgeva la capitale Azteca di Tenochtitlán, il cui fondo, permeabile e argilloso, era gonfio d’acqua come una spugna. Questo ne permetteva un’estrazione facile, ma portava con sé anche dei rischi.

Lo strato argilloso, sfruttato ben al di sopra della velocità di recupero, perdeva progressivamente volume, compattandosi e causando un inabissamento della superficie. In alcuni punti la terra affondava alla velocità di 30 centimetri all’anno, causando crepe e cedimenti nelle strutture più grandi, mentre le altre, come il pozzo, rimanevano sopraelevati rispetto al terreno circostante. La città stava letteralmente sgonfiando il terreno sotto alle sue fondamenta.

Negli anni 50 Città del Messico contava oltre tre milioni di abitanti, e la situazione era deteriorata a tal punto che in alcuni punti il terreno sprofondava alla velocità di 40 cm all’anno. Non solo, la rapida crescita della città aveva lasciato le periferie, alcune prossime alla definizione di favelas, prive di acqua corrente, con impatti negativi sulla salute e l’igiene dei residenti. Spesso i quartieri più poveri sono quelli più affetti dallo sprofondamento del terreno, a causa dei bassi prezzi degli immobili nelle aree ad alto rischio.

Ma anche nei quartieri meglio collegati il rapido sprofondare del terreno danneggiava le tubature causando perdite continue, stimate al 42% del volume estratto, estendendo la crisi idrica su gran parte del territorio cittadino.

Dagli anni ’90, Città del Messico iniziò a importare grosse quantità d’acqua, circa il 23% del fabbisogno idrico, dalle vicine riserve di Lerna e Cutzamala, per un costo di circa 255 milioni di dollari all’anno. Non furono gli unici tentativi di alleviare la pressione sulle falde. Nel 2007 per esempio, venne inaugurato il “Green Plan”, dalla durata di 15 anni, che mirava a migliorare i lavori di manutenzione sulle infrastrutture idriche, a ridurre gli allacci illegali, e a razionalizzare la gestione e i costi dell’acqua, con una conseguente riduzione del 10% nei tassi di estrazione dalle falde. Altri progetti, risalenti al 2009, miravano a incrementare la quantità di materiale permeabile usato nei progetti urbanistici, permettendo all’acqua di filtrare nel sottosuolo e di ricaricare le falde naturalmente. Altri ancora cercarono di ricaricare le falde artificialmente, ampliando la capienza degli impianti di trattamento delle acque reflue, e pompandole nel sottosuolo.

Ma la sostenibilità ebbe un costo salato. Nel 2000, il Governo di Città del Messico spese oltre un miliardo di dollari in riparazioni e interventi strutturali per alleviare i danni alle infrastrutture, peraltro senza intaccare significativamente il deficit nell’estrazione dell’acqua che stava distruggendo la città.

Nel 2009 approdò nelle periferie di Città del Messico una soluzione al problema grazie alla non-profit Isla Urbana, specializzata in impianti di raccolta e depurazione dell’acqua piovana, degli strumenti che si sarebbero rivelati preziosissimi. Agendo inizialmente in autonomia, Isla Urbana iniziò a produrre e fornire delle cisterne per la raccolta dell’acqua alle comunità più bisognose. Queste cisterne erano capaci di contenere dai 2000 ai 5000 litri ed erano dotate di sofisticati sistemi di controllo e pulizia per garantire una buona qualità dell’acqua. Un timer entrava in funzione all’inizio di una pioggia, scartandone i primi litri raccolti, che sono solitamente i più inquinati. Dopo, una rete dalle maglie di 50 micron eliminava i parassiti, prima di far passare l’acqua attraverso un filtro a carbone, che ne eliminava le residuali impurità. L’acqua così trattata veniva immessa in una cisterna, dove veniva mischiata a cloro per evitare la crescita di alghe e batteri. Infine, l’acqua poteva essere estratta ed erogata da una pompa, in media coprendo il fabbisogno idrico di ogni famiglia per 8 mesi all’anno, e riducendone la dipendenza dalla rete idrica municipale.

La portata del progetto di Isla urbana era inizialmente limitato, essendo attivo solo nelle comunità ai margini della città, che erano maggiormente colpite dalla carenza d’acqua a causa della pessima qualità delle infrastrutture idriche. Ma nel 2018 il Governo di Città del Messico ha deciso di impiegare Isla Urbana per l’installazione di 100.000 sistemi di raccolta della pioggia, un progetto che sarà completato entro il 2024. A un anno dall’inizio del progetto, le unità installate finanziate dal governo erano 10.000 e nei primi mesi del 2021 ne sono state aggiunte altre 10,000, arrivando oggi alla cifra totale di oltre 20,000 unità installate. Il progetto continua e si sta sviluppando un ecosistema di aziende private, specializzate nella raccolta di acqua piovana, a fianco di Isla Urbana.

Nonostante gli sforzi del Governo, e il generale rallentamento della velocità di sprofondamento del terreno, ben al di sotto dei 40 centimetri l’anno che si registrava nella metà del secolo scorso, numerosi studi confermano che la tendenza non sarà reversibile, né completamente arrestabile. Tuttavia, questo non sminuisce importanza di una efficiente gestione della risorsa idrica, che formerà letteralmente il volto della Città del Messico del futuro.

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