D’Angelis: “Il Tevere, da fogna a fiume pulito: ma i suoi affluenti sono inquinati”

Il segretario generale dell'Autorità di Bacino racconta come il fiume cittadino sia cambiato (in meglio) negli ultimi 40 anni e si augura il recupero della "straordinaria cultura fluviale che Roma rischia di perdere"

“Come stanno le acque del Tevere? Diciamo subito che il lume nostrum non è una fogna, come tanti ancora pensano. Non emana gli odori nauseabondi di pochi decenni fa quando ancora ingoiava tutti gli scarichi dell’urbe e Pier Paolo Pasolini scriveva ‘che al calore del sole puzzava come pisciatoi, scorreva giallo come se lo spingessero i rifiuti di cui veniva giù pien'”. Così Erasmo D’Angelis – segretario generale dell’Autorità di Bacino – in un intervento sul dorso romano del Corriere della Sera.

D’Angelis spiega che per il Tevere si è chiusa la “stagione degli orrori” quando nel 1983 era “una pubblica fognatura non a norma che ‘beveva’ gli scarichi di 1.970,000 romani”, ora invece il fiume “è pulito”.

I 2.500 chilometri di rete fognaria  – spiega D’Angelis – è gestita da Acea Atoa e “convoglia nei depuratori i reflui di circa 4 milioni di abitanti equivalenti attraverso collettori che li trasferiscono ai grandi impianti di Roma e ai 170 depuratori minori dell’area metropolitana”.

Allora cosa provoca le morie di pesci? Il segretario generale individua i responsabili nei 42 affluenti che immettono acqua non depurate. Come dimostrato, sostiene, dalle analisi di Arpa Lazio effettuate in diverse occasioni, subito dopo episodi di “bombe d’acqua” (30 – 31 maggio 2020, del 4-5 luglio 2020 e del 24 agosto scorso) che hanno rilevato la presenza di alta concentrazione di “pesticidi, diserbanti e fertilizzanti agricoli che tracimano illegalmente nel fiume, e metalli pesanti e idrocarburi convogliati dal ‘lavaggio’ stradale che sottraggono ossigeno e causando anossia dei pesci”.

L’augurio di D’Angelis è che si recuperi “la straordinaria cultura fluviale che Roma rischia di perdere, perdendo però la sua anima”.

 

 

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