Chi ha detto che le “carcasse ittiche”, espressione in burocratese per definire i pesci morti nel Tevere, sono classificabili come “rifiuti”? Tra l’altro, le suddette “carcasse” si trovano “non già sulle banchine ma nell’alveo del corso d’acqua, in zone di accumulo dovute alle correnti”.
E dunque, a maggior ragione, secondo una sfilza di leggi e regolamenti, non sarebbero definibili “rifiuto”. E dunque non toccherebbe ai vigili urbani di Roma rimuoverle. La spiegazione (che funge anche come risposta a una perentoria richiesta della Regione Lazio di ripulire il fiume dalle migliaia di pesci morti in seguito all’acquazzone di fine agosto che ha colpito la capitale) è contenuta in una pagina e mezzo firmata dal comandante dei vigili urbani di Roma Ugo Angeloni e riportata da ‘La Repubblica’.
Angeloni ha scritto alla sindaca Virginia Raggi in merito all’ennesimo conflitto di competenze che blocca la capitale. Per Angeloni, infatti, “l’individuazione di Roma capitale come soggetto competente agli interventi di bonifica del fiume non trova conferma nella normativa vigente”.
Se i pesci fossero stati trascinati fin sulle banchine allora si, sarebbe toccato alle istituzioni capitoline. Ma essendo nell’alveo del fiume toccherebbe alla Regione e all’Autorità di Bacino.
Sono loro “i detentori del rifiuto”, conclude Angeloni. I pesci, insomma, restano lì a disfarsi e scomparire nelle acque torbide del Tevere. Affondati dai conflitti tra istituzioni e dalla burocrazia.