A confronto con uno psichiatra che, sul campo, vive la legge Basaglia

OMS, servizi territoriali, impegno medicale e sociale, sono a volte tecnicismi insufficienti a curare la malattia mentale che è ancora uno dei grandi misteri dell'uono

“(…) Come eravamo innamorati, noi,
laggiù nei manicomi
quando speravamo un giorno
di tornare a fiorire” (…)

Così, Alda Merini, “racconta” la legge di riforma che ha dato avvio a un processo di superamento dei manicomi. Cosa è cambiato da allora? Come viene curato il paziente psichiatrico? Che assistenza hanno le famiglie? Ne abbiamo parlato con lo psichiatra Massimo Lanzaro, già Primario del Royal Free University Hospital di Londra e, attualmente, Dirigente Medico dell’ASL Napoli 2 Nord.

“L’ospedale psichiatrico – ci dice – è stato chiuso e sostituito da servizi territoriali operanti 24 ore su 24. Questi centri forniscono assistenza sanitaria, riabilitazione psicosociale, assistenza sociale e, se necessario, trattamenti per episodi acuti”.

Il bacino di utenza
“Progressivamente viene istituito il Dipartimento di Salute Mentale che dal punto di vista operativo garantisce l’unità tecnica, amministrativa e progettuale della rete dei servizi territoriali, dei loro programmi e attività. Nelle zone/aree di riferimento territoriale vengono definiti con maggior precisione gli standard di funzionamento dei CSM (Centri Salute Mentale), a ciascuno dei quali compete un bacino d’utenza di circa 50.000 abitanti”.

L’aiuto alle famiglie
“A differenza di altre malattie o di un handicap fisico, la malattia mentale a volte non concede tregua, non consente una vita familiare degna di questo nome, poiché può essere molto distruttiva. Bisogna quindi aiutare le famiglie, ma come?”.

Punto primo…
“Prima di tutto con un’informazione semplice e alla portata di tutti che tocchi i diversi aspetti legati alla schizofrenia, ipotesi relative all’origine, farmaci in uso, aspetti della terapia e della riabilitazione, accesso ai servizi pubblici”.

Secondo punto
“Organizzare dei gruppi di parenti, dove essi possano terapeuticamente condividere le loro esperienze, le loro sofferenze e apprendere dai terapeuti modalità nuove e diverse di rapportarsi con i malati, aiutandoli nel difficile cammino verso la riabilitazione. Occorre superare la tradizionale relazione asimmetrica fra il professionista attivo e portatore di sapere, e il parente passivo”.

Terzo quarto punto
“Costituire un’Associazione di familiari. Il quarto punto, quello fondamentale, è la costituzione di una rete di servizi pubblici in grado di effettuare quanto da tanti anni si sta invano aspettando e cioè una vera presa in carico di questi malati”.

La parte “malata”, non guarisce con i mezzi attuali
“Esiste una diffidenza diffusa nei confronti della psichiatria in generale che a volte tende a escludere i parenti, a trascurare le peculiarità dei diversi casi con un appiattimento verso il basso. Inoltre, tra i famigliari, è sempre più diffusa una sensazione sostanzialmente negativa: la psichiatria attuale, pur intesa e applicata nel modo migliore da tanti validi operatori, appare come un sapere congelato, un circuito chiuso su se stesso, da cui molto difficilmente si riesce a uscire perché la ‘parte malata’ non guarisce con i mezzi attuali”.

Un documento che dovrebbe cambiare le cose…
“Nel 2005, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha organizzato a Helsinki una conferenza europea che rappresenta il primo tentativo di trasferire ai governi responsabilità ben definite: i Ministri della Salute di cinquantadue paesi europei hanno approvato all’unanimità un documento che racchiude le priorità stabilite in merito. Secondo quanto scritto nell’accordo, politiche e pratiche di salute mentale dovrebbero essere focalizzate a promuovere il benessere, contrastare la discriminazione e l’emarginazione sociale, prevenire, fornire servizi efficaci e adeguati, favorire il reinserimento in società delle persone che sperimentano seri disturbi”.

Il capitale umano
“La dichiarazione pone la salute mentale al centro del potenziale umano, sociale ed economico delle diverse nazioni ed esorta gli Stati a considerarla come parte integrante delle proprie politiche sociali. Quindi, se da un lato è necessario promuovere servizi di salute mentale in aree territoriali e servizi comunitari, dall’altro l’attenzione deve essere spostata dalla malattia in sé alla totalità della persona nonché alla sua rete di appartenenza e ai gruppi sociali di riferimento per favorire percorsi di ripresa”.

Autonomia e emancipazione
“Il compito diventa quello di promuovere la cittadinanza per le fasce più svantaggiate e vulnerabili della popolazione, innalzando la loro qualità di vita, favorendo la loro autonomia ed emancipazione anche dalla dipendenza dai servizi, in modo che il concreto esercizio dei diritti accresca complessivamente le loro possibilità e capacità di scelta e di azione”.

Una vita “piena”
“E’ oggi chiaro che quando si parla di ripresa (e.g. Recovery) non si tratta dunque di un esito coincidente al ritorno alla condizione precedente al problema, quanto più a un percorso che è volto alla attivazione di risorse che permettono al soggetto di vivere in maniera piena la sua vita ed esprime le sue potenzialità”.

 

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