Offuscata, in questi giorni dal problema Astrazeneca, la discussione e l’emergenza DAD rimane, comunque, un grosso punto interrogativo del nostro sistema sociale ed educativo.
Da un lato la didattica a distanza è stata una soluzione che ha aiutato i ragazzi a tirare avanti col programma di studi, dall’altro ha generato un diffuso “apartheid” sia nelle classi socio economiche, che nelle famiglie, nelle questioni di genere e anche fra i giovani stessi.
Abbiamo già sottolineato come la chiusura (in presenza) delle scuole abbia inciso fortemente sull’equilibrio psico/fisico/culturale degli studenti costretti a passare ore davanti a quei pc e cellulari il cui uso, fino all’entrata a gamba tesa della DAD, era criticato e energicamente calmierato dalla famiglia.
In casa, spesso soli, i ragazzi fanno una vita “randagia” senza reali rapporti e con la realizzazione di un sogno al negativo: copiare. E si perché con la didattica a Distanza è, scientificamente provato che è molto più facile avvalersi di infiniti aiutini. Ma che bel risultato!
Per molti gli esami sono vicini e come si fa ora, anche, solamente a ipotizzare esami “normali” e in presenza? Se si deve mettere una toppa questa deve essere a favore degli studenti che come trottole hanno subito aperture e chiusure da un giorno all’altro.
Il loro bagaglio culturale, già additato, fra i peggiori in Europa con questo andazzo non può che soffrirne ancora di più.
Eppure l’istruzione, la conoscenza (che va di pari passo con la coscienza di sé e dell’esterno) dovrebbe essere l’obiettivo primario di ogni stato civile capace di guardare al presente e, soprattutto, al futuro. E mentre questa sventura culturale continua la sua corsa verso il basso, qualche voce dai palazzi del governo si alza e propone di consentire il voto ai sedicenni.
Ma vi rendete conto dell’assurdità dell’iniziativa? Ai ragazzi, dell’era Covid, lo Stato dice: vi neghiamo il diritto allo studio e alla possibilità di giudizio, però vi chiediamo di decidere sul futuro del Paese. Una dissonanza di programmi che allontana sempre di più gli Italiani dalla fiducia nella politica. Ormai è cosa provata che il nostro Paese non riesce a smuoversi da quel dannatissimo “panem et circenses” adatto a costruire generazioni di incolti, che quasi mai sono in grado di rappresentare un vero pericolo per le istituzioni.
Quindi scuole chiuse al minimo soffio di vento, donne come nuove vestali, senza reddito né voce e sempre più represse nel loro sacrosanto diritto di essere parte attiva in campo lavorativo, culturale e decisionale. E c’è ancora chi, con queste premesse, ha la faccia di tuonare contro il pesante decremento anagrafico.