Sotto questo cielo grigio Covid, martellati solo da notizie “brutte” e con la prospettiva di un Natale-non Natale, io e la mia amica, un pomeriggio qualsiasi, siamo state prese dal trip di lanciarci in un mini shopping.
Ci è venuta una voglia furiosa di vedere qualche negozio, toccare qualche tessuto, ammirare l’abbigliamento (debitamente scontato) inserito nella più classica atmosfera festaiola.
Ma il risultato sono stati i salvifici 10.000 passi raggiunti e la tangibilità di un pomeriggio buttato via. Dopo tanto girare ci siamo rese conto che dovunque andassimo ci imbattevamo nel nulla più assoluto.
Abbiamo salito e sceso tutti i gradini, dal medio lusso al low dress eppure NON abbiamo trovato NIENTE. Niente che ci facesse battere il cuore e accendere la fantasia.
Il livello delle proposte si è rivelato meno che mediocre e la merce non è mai stata inserita in un contesto godurioso e attraente. Certo i commercianti hanno poco da festeggiare ma questa è un’arma affilatissima che sega sul nascere qualunque voluttà di acquisto.
Pensate che a via del Babuino, una grande percentuale delle boutique alle 18,45 era già chiusa e buia! Lacrimevole visione.
Spulciando fra mille stendini ci è venuto il sospetto che per la moda a/i 2020 anche i grandi creativi abbiano vissuto un lungo attimo di black out. Brand e geniali disegnatori devono aver fatto un conto ben preciso e drammatico: quest’anno non si vende, il mercato non tirerà per niente, quindi buttiamo lì qualcosa, tanto per esserci, e molliamo matita e ispirazioni.
Ed è da questo atteggiamento di paura e quasi di resa che il possibile cliente gira i tacchi e aspetta il fine settimana per fiondarsi negli outlet e nei megastore. Da quei gironi danteschi qualcosa deve pur saltar fuori!
Noi in centro abbiamo visto e rivisto capi identici esposti in negozi diversi. E i prezzi? Invariati anzi, se possibile, arrotondati al rialzo.
Il tutto in un’aria di miseria e struscio che il giallo nazional-consumistico, voluto dal governo non potrà, assolutamente, ripianare.