Mai come quest’anno la vaccinazione antinfluenzale è fondamentale e mai come quest’anno le dosi di vaccino sono introvabili e ingestibili. Così fondamentali che già dalla primavera il ministero aveva sottolineato: “è cruciale che le Regioni e Province Autonome avviino le gare per l’approvvigionamento dei vaccini anti-influenzali al più presto…”. Addirittura ci avevano invitato ad anticipare la vaccinazione quanto prima possibile fino a programmarla per settembre/ottobre.
Naturalmente la precedenza va data a quella parte della popolazione più vulnerabile, oppure che fa mestieri che richiedono maggiore protezione: le persone al di sopra dei 65 anni (anche se quest’anno l’età è stata abbassata a 60).
Per venire incontro a tutte le fasce della popolazione il governo centrale e le Regioni hanno firmato un accordo in cui promettono di cedere alle farmacie l’1,5 per cento della loro scorta di dosi di vaccini.
Tenersi lontani dal Covid, in questo momento è il nostro primo impegno, personale e sociale e la vaccinazione antinfluenzale (come quella per prevenire la polmonite) è un grande aiuto.
Ma nonostante le tante raccomandazioni, nelle farmacie le dosi per la popolazione non target non sono ancora arrivate e nemmeno si hanno notizie e previsioni.
Anche molti medici di famiglia hanno terminato le dosi e tanti, troppi pazienti a rischio non possono usufruirne.
Certo, la richiesta di vaccini, in questo periodo, ha visto un’impennata incredibile rispetto agli anni passati. Ma ci pare che fosse più che prevedibile e logica.
E allora perché ci troviamo con questo grave problema?
La ragione principale è sicuramente la cattiva programmazione degli ordini, i ritardi nella domanda e nella consegna e la burocrazia che impone gare a ripetizione.
Per i soggetti a rischio ma, anche per tutta la popolazione questa è stata una bruttissima sorpresa, una porta sbattuta in faccia nel momento di maggior bisogno. Insomma: una vergogna e un pericolo nazionale.
Inutile dire che questa mancanza di protezione e riprovevole gestione del problema crea in quasi tutti una carica di preoccupazione (se non paura) che diminuisce la fiducia nelle istituzioni e il conseguente fastidio verso le continue limitazioni nella vita di tutti i giorni.
La gente si chiede: usiamo le chiusure come surrogato di un farmaco e come ammissione di una pessima e cieca pianificazione del welfare nazionale?
Il primo lockdown ci ha colti di sorpresa ma abbiamo risposto in modo encomiabile e solidale ma questa seconda blindatura ci trova infastiditi, critici e sbandati sentendo che alle nostre spalle non c’è né coesione né progettualità.