Come fare politica guarnite di accessori falsi

Chi è senza colpa scagli la prima pietra ma qui le pietre pesano come montagne perchè ad acquistare accessori falsi su una delle spiagge più in della Versilia non è una comune cittadina ma un'esponente dell'attuale "direttivo"

Come si suol dire “chi si somiglia si piglia” perchè in questa storia siamo all’epilogo farsesco di una condizione umana minima che per esistere ha bisogno di apparire.  Per carità niente nomi ne’ rimandi alle possibili identità dei personaggi; ci sentiamo così liberi di dire quel che pensiamo.

Vi ricordate quando, anni fa, l’allora sindaca di Roma scese dall’auto sorridente con una Birkin Hermès lustra e smagliante come mai? a quel punto partì una carica mediatica travolgente e l’opinione pubblica fece, egregiamente, da cassa di risonanza; alla fine intervenne il marito della signora definendo l’oggetto una pura e semplice replica o fake o dupe made in Rome. La questione finì giusto con lo scadere del mandato della sindaca.

Nell’occasione di cui raccontiamo oggi, invece, non si trova l’ombra di un qualcuno disposto a smontare il caso, anzi, per assurdo, si mostra il venditore che con orgoglio racconta tutta una vita a fare su e giù per la battigia di una delle spiagge più in della Versilia con le sue proposte di accessori al top, ma rigorosamente false. Le contrattazioni sono copiose e ricche e mi sento di affermare che un buon numero di bagnanti benestanti e di nome celebre si facciano avanti desiderose di possedere un po’ di quel bendidio.

D’altra parte i vù cumprà, dei più svariati livelli, sono da sempre parte del paesaggio marino e, diciamocelo, portano un soffio di leggerezza in quella sfilza di giornate tutte uguali passate sempre sotto il solito ombrellone; una routine deprimente che va spezzata in qualche modo. Tutti al mare tutti al mare, ma poi sai che palle tra un torneo di burraco, le cene sempre coi soliti amici (che sono anche vicini di ombrellone) e una poco credibile serata havaiana/altro. Alla fine decidiamo che non siamo qui per resistere e via a soddisfare i nostri mai sopiti desideri modaioli. Basta che gli acquisti siano fake sotto il sole d’agosto, ma che in città si tramutino in autentici; questa è la base del giochetto che incendia l’animo di chi vorrebbe ma non ha.

Tutta questa mercanzia arriva soprattutto dalla Cina che ormai ne ha fatto un’industria a tutti gli effetti: catalogo, scelta, prezzo, spedizione, consegna; già ma questi siti sono molto difficili da raggiungere e vanno bene per smanettatori e addetti ai lavori ben addentro al giro, non facile, del resell. Poi c’è la Turchia che sta emergendo e per certi versi surclassando la Cina. I turchi, grazie alla nostra insana scelta di delocalizzare, si sono fatti furbi: stessi materiali, stesse etichette, stesse cuciture, stesse zip e fodere e con la capacità produttiva di sostenere qualunque ordine di qualunque entità; così mille e un commerciante di negozi plurimarca fanno gli acquisti all’ombra del Topkapi.      Per aprire gli occhi vi invito a vedere le trasmissioni che Far West ha dedicato all’argomento.

Fatto salvo tutto quanto sopra, restiamo basiti e sdegnati che protagoniste di tale peso politico e imprenditoriale siano così attratte da un mondo fatto di falsità e apparenza, meglio se marcata Hermès, e con la stessa nonchalanche portino al braccio una chiara trasgressione alla legge nazionale e nel medesimo tempo abbiano mano libera per gestire il nostro Paese che, fake certo non è

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