Per quanto il meteo prometta pioggia e vento questi sono i giorni dedicati al giro del contenuto degli armadi e al conseguente: “questo lo tengo, questo lo scarto”.
Questa occupazione oltre ad essere, a dirla tutta, veramente antipatica ci mette di fronte alla quantità di abbigliamento che nel tempo accumuliamo. A volte proviamo quasi un senso di fastidio per la totale inutilità di tanti capi e accessori.
Ci prende una voglia cieca di far piazza pulita e poter ricominciare da capo a scegliere e comprare con più logica e, perché no, con maggior senso critico.
Se, da un lato, l’acquisto incide positivamente sul nostro grado di autostima, l’accantonamento di quello che è in sovrappiù mette in moto un notevole senso di colpa e la coscienza di aver buttato via un sacco di soldi.
In realtà utilizziamo solo una piccola percentuale degli indumenti presenti nei nostri armadi il resto resta lì stagione dopo stagione invecchiando e deteriorandosi.
Quando viene il momento di fare pulizia e spazio non ci sono molte alternative per il nostro usato. Certo ci sono i negozi second hand e quelli di vintage che, però, come politica scelgono capi di marca e in ottimo stato. Quindi, o sappiamo a chi regalare oppure per i capi più low fashion non resta che scegliere fra le varie opere caritatevoli (Humana, Caritas…) oppure direttamente il cassonetto.
Ma ci siamo mai chiesti quanto e come questi nostri scarti influiscono sull’ambiente?
Molto spesso l’invenduto viene bruciato, provocando emissioni di anidride carbonica più alte della combustione del carbone e del gas naturale.
La moda low cost è la più inquinante, vuoi per il turnover della merce esposta vuoi per la brevità della vita del capo e vuoi per la filiera produttiva.
Nel corso di un anno un’azienda di moda fast produce anche 30 collezioni, quando non di più, con soli 15 giorni a disposizione: in questo modo i nostri acquisti sono continuamente superati e noi costantemente fuori moda.
Dal 2000 in poi la vendita mondiale di abbigliamento è aumentata costantemente, di pari passo con la diminuzione del tempo di utilizzo e dobbiamo considerare, anche, che ad ogni lavaggio questi indumenti rilasciano una notevole quantità di microplastiche che poi finiscono in mare.
E’ un dato un po’ lontano nel tempo ma decisamente indicativo sapere che nel 2015, l’industria della moda ha prodotto 100 miliardi di capi con una eccedenza che vale miliardi di dollari.
Le fibre sintetiche, come il nylon, l’elastan e il poliestere hanno gli effetti peggiori sull’ambiente in quanto derivati dalla plastica, ecco perché bisognerebbe cercare delle alternative che richiedono un ciclo di lavorazione più pulito e meno impegnativo.
Certo il top sarebbe adottare sempre di più un’economia circolare che preveda un totale riuso dell’invenduto/scartato. A febbraio 2021 il Parlamento europeo ha votato per il nuovo piano d’azione per l’economia circolare, chiedendo misure aggiuntive per raggiungere un’economia a zero emissioni di carbonio, sostenibile dal punto di vista ambientale, libera dalle sostanze tossiche e completamente circolare entro il 2050.
Teniamo presente che i materiali tessili rappresentano il 20% dei rifiuti globali e meno dell’1% del materiale impiegato nel settore dell’abbigliamento viene riutilizzato per produrre altri capi.
E’ impressionante ma dal 1996 la quantità di indumenti acquistati nella UE pro capite è aumentata del 40% per il rapido calo dei prezzi e il conseguente ampliarsi dell’offerta. Questo ha comportato la riduzione del ciclo di vita dei prodotti tessili: i cittadini europei consumano ogni anno quasi 26 kg di prodotti tessili e ne smaltiscono circa 11 kg. Gli indumenti usati possono essere esportati al di fuori dell’UE, ma per lo più vengono inceneriti o portati in discarica (87%).
Solo leggendo attentamente questi dati ci rendiamo conto di quanto il nostro adorato e necessario shopping si trasformi in un morbo letale per l’ambiente.
E’ anche vero che l’offerta aumenta in maniera sconsiderata e che le nostre strade sono tappezzate di negozi di abbigliamento.
Davanti ad una tale esibizione di merce è naturale sentirci chiamati a comperare e quanto meno costa tanto meglio è perché già sappiamo che quel capo avrà vita brevissima. Perché ormai si compera per essere e non per avere.
Ma ora è venuto il momento di renderci conto di quanto incide sulla salute del pianeta, e quindi anche nostra, lo smaltimento di quell’indumento. Scommetto che non ci abbiamo mai pensato