C’è una parola quasi un concetto che pronunciata a Roma suona vuota come una voce nel deserto: panchina; panchina intesa come possibilità di seduta per riposare, mangiare, chiacchierare, leggere o guardarsi intorno.
C’è poco da fare ma il centro della nostra Città è zozzo da matti e come se non bastasse il pattume abbandonato ci aggiungiamo il carico da 90 dei vari picnic a ciclo continuo dei milioni di turisti che la invadano. Monumenti, fontane e scalinate che ormai e con l’avvallo di controllori inesistenti, trasudano grasso, gelati spiaccicati e ogni altro tipo di gocciolamento possibile. Tanto a questo punto il Tridentino, come cuore e icona di Roma, non esiste più soffocato da take away e ristoranti per lo più orridi e indegni di qualunque città civile. Purtroppo anche la scalinata di Trinità dei Monti è sempre fitta di persone come le gradinate di uno stadio, gente che oltre a guardare mangia e beve in favor di sole e senza cestini getta carte a favor di mano.
Tutto vero e tutto triste, ma dobbiamo denunciare che a Roma esistono pochissime panchine, talmente poche che ovviamente la gente si siede dove può.
Abbiamo cercato di capire il numero indicativo delle panchine romane, ma mentre per altre città la quantità si trova facilmente, per la Capitale nemmeno facendo ricorso all’IA si arriva ad una cifra, perlomeno indicativa.
Tanto per spiegare l’assurdità delle inesistenti info romane vengono citate solamente le 9 panchine giganti in punti strategici e la presenza di alcune panchine rosse contro la violenza sulle donne. Stop.
Nel 2018 ricordiamo che furono acquistati 20.000 nuovi listelli di legno per riparare quelle vecchie e rovinate, ma per quello che sappiamo la storia finisce lì.
Possiamo considerare le sedute come complementi d’arredo urbano oltre che ad un imperativo segno di accoglienza ed un invito alla socializzazione.
Prendiamo spunto dalle dichiarazioni del prof Ruben Baiocco, docente di Progettazione urbana e territoriale all’università Statale di Milano, che sostiene che le panchine devono essere posizionate in modo omogeneo: al rapporto con lo spazio urbano, a quanti abitanti ci sono in quei luoghi e come possono/devono partecipare alla vita sociale dell’indotto. Bisogna pensare agli anziani, magari con difficoltà di deambulazione, alle mamme che vogliono lasciare i bambini liberi di razzolare e al turista stanco dal tanto girare; insomma un atto di ospitalità dovuto ed è impensabile uno spazio pubblico senza panchine.
E non vale nemmeno sollevare il problema dei senzatetto come deterrente alla posa delle sedute tanto quel mondo, panchine si o panchine no, si mette dove meglio crede.
L’esempio opposto al concetto di ospitalità, accoglienza e socializzazione sono, nel nostro caso, le panchine in p.zza di Spagna: in pieno sole, numericamente da ridere e spesso “oscurate” da installazioni invadenti.