Stop alla plastica nei nostri vestiti

Il vortice della moda, soprattutto fast ci spinge all'acquisto compulsivo spesso di capi di basso prezzo e scarsissima qualità. E' sempre più dominante l'uso del sintetico inquinante e indistruttibile. Leggiamo con attenzione l'etichetta nel capo che vogliamo e rifiutiamo di essere vestiti di plastica

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1500 cassonetti in Città, tanti banchi nei vari mercati, negozi e negozietti, piattaforme e siti dedicati, e tutto e di più pur di liberarsi ad nostro abbigliamento usato. Ma ancora non basta, anzi se il trend resterà pari a quello odierno i metodi di smaltimento attuali saranno assolutamente insufficienti e inadeguati.

In questa ottica la UE sostiene una scelta drastica e vieta la distruzione degli abiti invenduti. A noi pare incredibile ma molti brand del lusso, pur di non svilire il proprio prodotto, distruggono e bruciano le collezioni invendute. Uno spreco di risorse che costa al Pianeta milioni di tonnellate di rifiuti, immessi nell’ambiente anziché essere destinati al riciclo/riutilizzo. Tutto sommato, a pensarci bene, basterebbe staccare l’etichetta identificativa del marchio per introdurre l’invenduto in una sana operazione circolare.

Pensate che ogni anno vengono immessi nell’ambiente 5,8 milioni di tonnellate di tessuti che oltretutto e troppo spesso, vengono da catene lavorative infernali, se non addirittura, carcerarie.

Altro obiettivo dell’Unione Europea è quello di mettere fine al fast fashion entro il 2030, non tanto per penalizzare alcune fasce di mercato quanto per liberare sia l’ambiente che gli individui dai troppi filati nocivi sia per chi li indossa sia per l’ecosistema, nella fase finale del loro utilizzo.

In questi ultimi anni, infatti, a dominare il mercato della moda sono sicuramente le catene low cost (o fast fashion) che presentano, quasi settimanalmente, nuove “collezioni” in un ritmo frenetico che provoca nel cliente il concetto dell’usa e getta, tanto da convincerlo che un capo non si debba indossare più di 3/4 volte.

Dal 2000 a causa del fast fashion, la produzione di abbigliamento è raddoppiata, così come l’uso del poliestere che da solo vale oltre la metà di tutte le fibre utilizzate. Questo vortice è reso possibile dal bassissimo prezzo della merce e dalla sua pessima qualità. E la pessima qualità dei filati dove viene reperita? In primo luogo dal petrolio che genera fibre sintetiche come: poliestere, nylon e acrilico. Fibre di grande duttilità e resa ma, praticamente indistruttibili ma, dato che sono create chimicamente le sostanze tossiche utilizzate negli step di lavorazione possono causare irritazioni se non allergie alla pelle.

Ormai è certo che l’industria della moda è legata a doppio filo all’utilizzo di tessuti sintetici. E questo nonostante l’accelerazione della crisi climatica e dell’inquinamento causato dalle microplastiche.

Per quanto, certi marchi, ci vogliano far credere di essere green grazie al riuso di fibre e confezioni, dobbiamo renderci conto che questa operazione è, soprattutto fumo negli occhi perchè non risolve il problema delle microplastiche e della Co2. Dietro alla dichiarazione “green” c’è sempre e comunque il poliestere riciclato di varia provenienza in primo luogo dal PET delle bottiglie.

Purtroppo non possiamo fermare questa sciagura ma, una cosa la dobbiamo sempre fare: leggiamo con attenzione l’etichetta descrittiva applicata nel capo che stiamo per comprare e rendiamoci conto che quello che indosseremo è: PLASTICA

 

 

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