Via Flaminia, il cimitero dei pini morti

I pini marittimi, da sempre immagine e orgoglio di Roma stanno morendo nel menefreghismo di chi li dovrebbe curare. L'ingresso in Città da via Flaminia è un colpo al cuore fra la sfilata di pini morti e secchi

Forse i primi a segnalare l’insorgenza di una nuova malattia mortale furono i cipressi di Bolgheri che impegnarono gli studiosi in lunghi tentativi di salvataggio, ma gli anni sono passati e la moria di pini ha colpito a tappeto tanti, troppi luoghi d’Italia.

A Roma uno dei più importanti e trafficati ingressi alla Capitale si dimostra, ogni giorno di più, per quello che è: un cimitero di pini morti in piedi.

Via Flaminia è una consolare dimenticata, buona solo per far scorrere un traffico intenso e incessante. Chi la percorre quotidianamente ormai conosce a memoria tutte le buche del manto stradale, tutti i cumuli di monnezza abbandonati, tutta quella flora incolta che tende ad invadere le carreggiate, ma soprattutto nota con dolore e neri presagi di sventura le decine di pini marittimi rinsecchiti ormai da una morte lontana nel tempo.

Il tratto della Flaminia tra Corso Francia e il Centro Euclide, ci dicono essere di competenza Anas, ma si resta, comunque basiti dall’inerzia del municipio e degli “esperti” incaricati della cura del verde. Lo scaricabarile, di uso comune, non giova a nessuno e serve solo ad aumentare il degrado e il senso di totale abbandono in cui versano alcune realtà romane.

Che il killer sia la Parvicornis o la cocciniglia, o lo smog fatto sta che i pini, orgoglio e vanto della Capitale si vanno riducendo a vista d’occhio nell’indifferenza dei preposti al loro benessere.

Ad oggi pare che ci siano due tipi di cura per correre a salvare i nostri pini e sono il trattamento endoscopico che consiste nell’iniettare una sostanza all’interno della pianta e che a lungo andare e dopo varie applicazioni debella la malattia o il lancio di un insetto nemico dell’assassino e cioè la poetica e benaugurante coccinella.

Per quanto riguarda il tratto della Flaminia, preso in considerazione, direi che nessuna di queste pratiche è stata adottata. Anni fa si intervenne con il taglio dei pini ammalati e morti, ma poi e per lungo tempo fusto e rami rimasero abbandonati a bordo strada, fra erbe e monnezza, trasmettendo un senso di day after sconfortante. Qualcuno ha proposto di sostuire le piante morte con altre specie più resistenti, potrebbe essere una soluzione verde valida, ma sicuramente lontana dal fascino di un benvenuto così iconico come lo è la sfilata di pini marittimi.

La situazione attuale è inaccettabile, non all’altezza di una Capitale e soprattutto pericolossissima perchè a quelle scheletriche alberature basterebbe un meteo davvero ostile per farle cadere sulla Flaminia con conseguenze tragiche.

Se Ottorino Respighi fosse passato oggi per quella striscia di Roma mai e poi mai si sarebbe fatto incantare così tanto da comporre, nel 1924, il poema sinfonico “Pini di Roma”; forse quella di Respighi era una Città in bianco e nero ma con delle pennellate di verde come nessuna mai e che ora, invece,  è diventata una pennellata di seccume

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