Manuela Petrangeli temeva che l’ex compagno prima o poi l’avrebbe uccisa. Lo aveva confidato lei stessa al fratello Alessio. “Non mi dimenticherò mai una chiamata di Manuela, era sola e piangeva. Mi ha detto: ‘tanto prima o poi mi uccide’”, ha raccontato il fratello di Manuela nel corso dell’udienza del processo per la morte della fisioterapista, uccisa a colpi di fucile dall’ex compagno il 4 luglio dello scorso in via degli Orseolo, in zona Portuense a Roma. Nel processo è imputato Gianluca Molinaro, accusato di omicidio aggravato dalla premeditazione e stalking, nonché di detenzione abusiva di armi e ricettazione. Durante l’udienza di oggi, oltre ad Alessio sono stati sentiti diversi testimoni che vissero i tragici momenti durante e subito dopo l’omicidio.
Al fratello è stato chiesto di descrivere di fronte alla Corte gli anni della relazione tra Manuela e Molinaro, durante la quale avevano avuto un figlio, e i tre anni successivi alla loro separazione, avvenuta nel dicembre del 2021. L’uomo ha esordito dicendo che “Manuela era prigioniera della gelosia” dell’ex. Da quando si erano lasciati “mia sorella non ha avuto più vita, lui non le lasciava modo di fare nulla – ha aggiunto -. Molinaro poi iniziò a rivolgerle minacce pesanti, con messaggi e vocali. Lei mi aveva mandato dei vocali che le aveva inviato, di offesa e minaccia. Ricordo che rimasi scosso, erano cose brutali”. Manuela “si sentiva sempre seguita, mi chiedeva di accompagnarla perché aveva paura di incontrarlo”.
Le prime confidenze Manuela le aveva fatte al fratello poco prima della pandemia. Alessio ha spiegato che prima “questa situazione all’inizio non c’era, ci vedevamo abbastanza spesso e questa gelosia non si vedeva, ma le prime turbolenze erano iniziate tra il 2019 e il 2020. Nel periodo del Covid mia sorella mi ha raccontato che era sempre controllata, non poteva mandare messaggi, perché lui le chiedeva che stesse facendo e a chi scrivesse. Pensava che mia sorella lo tradisse, era una fissazione”. Nel dicembre del 2021 “ricevetti una telefonata da Molinaro, mi disse che mia sorella lo aveva tradito e che lo avrebbe scoperto perché aveva messo delle cimici nell’appartamento e nell’auto di Manuela – ha affermato Alessio -. Secondo lui, mia sorella aveva un rapporto con un suo paziente”. Da lì la decisione di interrompere il rapporto. Alla domanda sull’ipotesi di denunciare queste condotte, Alessio Petrangeli ha risposto che “Manuela mi ha detto di avere paura, mi ha sempre detto di non intervenire per protezione anche nei miei confronti”.
Nel corso dell’udienza sono stati ripercorsi anche i drammatici secondi in cui Manuela venne uccisa, il 4 luglio del 2024. Poco prima delle 14, la donna stava uscendo dal luogo dove lavorava insieme a Cristina, una collega. “Ho visto che Manuela si era pietrificata, era terrorizzata, quindi mi sono girata per vedere dove stava guardando – ha raccontato la testimone in aula -. Ho visto una Smart grigia che si è messa tra me e lei, con a bordo una persona con degli occhiali da sole specchiati sul lato del guidatore, non ho riconosciuto chi fosse. Ho sentito Manuela dire ‘Cri’, dopodiché è successo tutto in pochi secondi. C’è stato un primo colpo, poi un movimento della mano sull’arma da parte del conducente, non so se fosse per ricaricarla, e poi un secondo colpo”. La collega di Manuela ha poi raccontato di essere andata a soccorrere la vittima. “Dopo il secondo colpo Manuela si è accasciata a terra tra la sua auto e una rete, c’era sangue che schizzava dappertutto”. In aula sono stati sentiti, tra gli altri, anche alcuni infermieri che svolsero i primi tentativi di rianimazione della vittima, prima dell’arrivo dell’ambulanza, e il medico legale, che ha fornito alcuni dettagli sui risultati dell’autopsia. Secondo il medico sono stati esplosi “almeno 2 colpi entrambi sparati da sinistra verso destra, in rapida successione. Uno dei due colpi ha lacerato il cuore e il polmone destro. La causa di morte è riconducibile alla lacerazione di questi organi interni”. Il medico ha aggiunto infine che nei tessuti della vittima sono stati trovate anche dei “pallini di piombo di circa 3 millimetri”.
L’ex compagno della vittima si era costituito poco dopo l’agguato in una caserma dei carabinieri, consegnando il fucile, con le canne mozzate e la matricola abrasa, utilizzato per compiere il delitto. In aula è stata sentita anche la marescialla, esperta di balistica, che ha esaminato l’arma. “Le canne mozzate permettono una dispersione più ampia dei pallini contenute nelle cartucce e di raggiungere un bersaglio in più punti o più target – ha spiegato -. Non parlerei di una maggiore letalità o lesività, ma la canna mozzata aumenta la superficie del target colpito, più è distante e più si ha possibilità di colpirlo. In genere si mozzano le canne anche per occultare l’arma più facilmente”, ha concluso. Infine, è stato sentito anche un carabiniere presente nella caserma dove Molinaro andò a costituirsi. “Mi ha detto testualmente ‘Ho ammazzato la mia ex’ – ha raccontato -. Quando è entrato, era al telefono in vivavoce con una persona presumibilmente di sesso femminile. Dal telefono si sentiva, ‘Dove ti trovi? Dove ti trovi?’, e Molinaro ha risposto urlando, “mi trovo in caserma a Casalotti” per poi chiudere la telefonata. Dopodiché lui mi ha dato il telefono, che è stato poi messo sotto sequestro”, ha concluso. L’udienza è stata rinviata al prossimo 10 giugno.
Ieri il Comune di Roma ha inaugurato un Centro antiviolenza intitolato a Manuela Petrangeli.