Periferie/Pigneto 2: Da Necci all’Ipogeo: quando in un bar passa la storia del quartiere 

Massimo Innocenti e sua moglie Agathe Jaubourg, nel 2006, rilevano il locale da Pietro Necci, con l'obiettivo di tramandare il suo legame con il quartiere: girano quindi un documentario che racconta la scoperta della caverna, usata come rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale, dando voce agli abitanti storici del Pigneto. E, prima ancora, descrivono il suo rapporto con Pier Paolo Pasolini in "Pasolini Pigneto. Il Bar Necci ai tempi di Accattone"

photo credit: www.necci1924.com

Necci non è solo un bar, rappresenta un simbolo del quartiere che lo ospita, il Pigneto. È quello che hanno pensato Massimo Innocenti e sua moglie Agathe Jaubourg quando, nel 2006, dedicando di rilevare il locale da Pietro Necci, trasformandolo nel bistrot che oggi conosciamo. Parte da qui la seconda tappa del viaggio di Radiocolonna nel quartiere alla periferia est di Roma, stretto tra la via Prenestina e la Casilina, dopo il racconto della libreria Tuba e del festival InQuiete.

“Ci eravamo informati sei anni prima (ndr. dell’acquisto) sulla storia di Pasolini che molti giornali dicevano avesse girato delle scene del film Accattone al bar Necci. Ma non è così. Pietro Necci aveva solo prestato delle sedie”, racconta al telefono Agathe, ripercorrendo le tappe che l’hanno portata insieme al marito a rilevare il bar aperto nel 1924 da Enrico Necci, che l’anno prossimo festeggia cento anni. Nato come latteria, diventato gelateria e infine bar è stato gestito dai figli Pietro e Luigi fino al cambio di proprietà.

Da bar a bistrot, riscoprendo Pasolini

“Nel 2006 – continua Agathe – non si parlava di Pasolini e del suo rapporto con il Pigneto, che era considerata una periferia senza attrattiva”. Per questo, spiega, lei e Massimo decidono di scrivere un libro “Pasolini Pigneto. Il Bar Necci ai tempi di Accattone”, che racconta quell’epoca con l’obiettivo di “non perdere la storia del bar di quartiere”. Negli ultimi anni, infatti, il Pigneto riscopre la figura del regista che, proprio in via Fanfulla da Lodi, – Necci si trova al civico 68 – nel 1961 gira alcune scene dell’opera che segna il suo esordio alla regia, dove prima di lui Rossellini aveva dato vita a Roma città aperta.

Col il passaggio di proprietà il piccolo bar si trasforma e diventa un ristorante, aperto da colazione a cena. “Dove abbiamo il giardino, prima c’era un parcheggio, dove adesso abbiamo la terrazza c’era invece una rimessa”, racconta Agathe. Un cambiamento che all’inizio lascia spaesata la clientela storica che, infatti, non entra più nel locale. Ma Agathe e Massimo non lasciano correre e decidono di andare a cercare uno a uno i clienti storici. “Ci siamo sentiti dire: ‘Ma noi non consumiamo, giochiamo solo a carte’. Va benissimo, abbiamo detto loro, venite pure”, racconta la proprietaria. E così, poco alla volta, il nuovo Necci ingloba anche i clienti della vecchia guardia. Ma agli inizi, continua Agathe, non è stato semplice neanche con gli altri avventori, che non capiscono cosa sia “questo tipo di bistrot alla francese, dove si può consumare ma anche leggere e perdere tempo. Allora – spiega – non era un tipologia di locale molto comune a Roma”.

La scoperta

Intanto arriva la pandemia e nel 2020 accade qualcosa che segna una svolta nel rapporto tra Necci e il Pigneto. “Nell’atto di vendita era indicata una cantina, Pietro Necci ci aveva detto che l’ingresso si trovava più o meno nel giardino ma, nonostante le nostre ricerche, non riuscivamo a trovarla. Durante il Covid, mentre curavo il giardino – racconta Agathe – e ho sradicato una buganvillea che si seccava continuamente. Mi sono accorta così che il terreno su cui era stata piantata sotto era vuoto. Ho pensato: “Abbiamo trovato la cantina”. E, invece, era un ipogeo romano, che corre dieci metri sotto terra”.

Le tante vite dell’Ipogeo

La ristrutturazione dell’ipogeo dura otto mesi, durante i quali Massimiliano decide di girare un docufilm per raccontare la scoperta e raccogliere le testimonianza degli anziani del quartiere che ricordano di esserci stati, in particolare durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, quando la caverna diventa un rifugiato antiaereo “non ufficiale”. Ma prima ancora, una piccola parte, è usata come cantina dalla stessa famiglia Necci. Il documentario  – “Ericovero. Storia profonda del quartiere Pigneto” – è stato presentato nel 2021 al Pigneto Film Festival.

Oggi l’Ipogeo è una cantina dove si fanno degustazioni di vini, ma che i coniugi aprono gratuitamente, su prenotazione, anche per visite o mostre, recuperando uno spazio – spiegano – che restituiscono al quartiere. “Quando mia marito ha fatto il documentario sull’Ipogeo – ricorda Agathe –  tanta gente è venuta a darci ‘io c’ero, quando ero piccola scendevo lì'”. Tra queste, una testimonianza ci ha particolarmente colpito. Una donna molto anziana, accompagnata dalla figlia, è venuta a trovarci e, nonostante l’età, e la difficoltà a percorrere le scale anguste, ha insistito per visitare l’ipogeo.  Mentre andava via la figlia mi ha detto: “Mia madre, fino a oggi, non mi aveva mai detto di essere cresciuta al Pigneto”. Come mai?, le ho chiesto stupita. “Perché – mi ha risposto – era un quartiere poverissimo, ed era una vergogna dire che si veniva da qui”.

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