La Casa di Jack arriva in sala l’ultimo film di Lars von Trier, l’iconico regista danese, presentato oggi dal suo protagonista: Matt Dillon. L’attore americano interpreta nel film un serial killer e l’ultima fatica del regista danese è una sorta di lunghissima confessione. Violento, sanguinario, ma imperdibile, il film sarà in sala il 28 febbraio distribuito da Videa.
Jack è un ingegnere che sogna di essere un architetto nell’America degli anni ’70 lo seguiamo nei cinque “incidenti”, gli omicidi che definiscono il modus operandi di Mr. Sophistication, il serial killer protagonista del film. Gli omicidi sono intervallati da una serie di conversazione fra Jack e Verge, un personaggio che ha il volto e la voce del compianto Bruno Ganz.
Per l’attore americano, che compie oggi 55 anni, Jack è mosso dalla totale assenza di empatia:
“Jack è uno psicopatico, è un personaggio totalmente privo di empatia. I crimini di passione sono tragici, ma è un altro fenomeno. Questo è un film su un serial killer, ma è un film su un artista fallito e la ragione per cui lo è la sua mancanza di empatia. Ne ho discusso anche con Lars, Jack è molte cose, è un personaggio che si trasforma e diventa altri personaggi perché dentro di se manca questo nucleo”.
Quello di Jack è stato un personaggio fortemente difficile da interpretare per l’attore:
“Ho avuto molti dubbi prima di accettare il ruolo perché non era un soggetto che m’interessasse molto, ma non avevo alcun dubbio per il regista, anzi ho accettato il ruolo per lui. Ho imparato molto sul set, ma nonostante non volevo farlo. Dopo aver letto la sceneggiatura ho scoperto che era una delle cose più belle che abbia mai letto, mi è piaciuto molto l’incontro che ho avuto Lars von Trier. Mi ha detto che si prende responsabilità per quello che fa e ho accettato per lui, ma ho temuto di non farcela perché giudicavo Jack. Naturalmente ero spaventato per l’orrore che Jack commette e avevo paura che avrei rifiutato me stesso in un ruolo simile. Il film è stato un successo, l’abbiamo fatto come Lars voleva, ho accettato perché non sono come lui… credetemi!”.
Bruno Ganz, scomparso sabato, film ha un ruolo secondario è Verge, un Virgilio che accompagna Jack e lo spettatore nel corso del film, Matt Dillon l’ha ricordato così:
“Sono profondamente triste per la sua morte, era un attore fantastico con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Sono un suo fan da quando avevo 17 anni e lo vidi in Black and White (Schwarz und weiß wie Tage und Nächte di Wolfgang Petersen, ndr) ed è diventato uno dei miei attori preferiti. Sono stato scelto prima io e poi Lars mi ha mandato una sua foto via messaggio scrivendomi solo Verge!!!! Ero così felice di fare un film con lui, poi La Casa di Jack ruota molto intorno alla nostra lunga conversazione. Mesi dopo siamo tornati in Danimarca per girarla e Lars voleva che vedessi il film con lui, ma avevo paura, alla fine non ci sono riuscito e Bruno l’ha visto. Cinque giorni dopo l’ho chiamato e mi ha detto: Mi è piaciuto tanto, è la cosa più interessante che abbia mai visto e sarai orgoglioso della tua performance. Mi è piaciuto lavorare con Bruno, anche perché sapevamo di fare qualcosa di molto rischioso”.
Spinto da Ganz, l’attore ha avuto il coraggio di ri-vedersi nei panni di Jack:
“È stato bello rivedersi non perché io sia una persona dark, ma il film mi è piaciuto non rifiutavo me stesso nei panni di Jack, era solo un personaggio non sono io. Ci sono delle scene molto pesanti, come l’uccisione della famiglia, difficili da girare dopo aver visto il film con Lars gli ho detto che mi era piaciuto e lui mi ha detto: Coosa? E io ho pensato: Cavolo, cambia tutto! Anche perché odia quando le persone amano i suoi film”.
In uno sfogo del serial killer, Jack pronuncia una frase emblematica per la società di oggi: nessuno aiuta nessuno:
“Personalmente non credo che sia così, ma c’è un po’ verità lo vediamo nel mondo in cui viviamo, ci sono ingiustizie e tragedie che al mondo non interessano come il bombardamento di civili in Siria. Penso che Jack la pensi così perché è un misantropo, vede il mondo in modo cinico, ma non è così che Lars la vede. Penso che inserisca il suo punto di vista in quello di Jack e nel dialogo con Verge, c’è una sequenza altamente disturbante, ma è chiaro che Jack voglia essere arrestato. Gli fanno la multa e confessa i suoi omicidi, ma il poliziotto non fa nulla a riguardo. Questo credo sia come vede le cose Lars, ma non io”.
Nell’ultimo periodo c’è stato un rinnovato interesse verso i serial killer, Ted Bundy protagonista di una serie TV e di un film, ma l’ispirazione per Matt Dillon è venuta dalla realtà:
“Questo film è totalmente diverso e unico nel suo genere, per avvicinarmi al ruolo ho cercato informazioni su psicopatici, serial killer e non potevo credere alla mole di informazione su questo e c’è una fascinazione infinita sul tema. Ho trovato un libro sull’argomento, I 50 Serial Killer Di Cui Non Avete Mai Sentito Parlare, e ci sono ben quattro volumi, quindi sono 200! Penso che sia un fenomeno sfortunato della natura umana, quel genere di malvagità esiste ma non ho detto di sì al film per questo motivo. Volevo lavorare con Lars, è stata una sfida, temevo di non mantenere le distanze, Lars mi ha confessato che Jack è il personaggio più simile a lui… ma non ha ucciso nessuno!”.
Per interpretarlo Dillon ha dovuto annullare la sua empatia e non l’ha mai giudicato:
“Ho creato Jack addendo in sottrazione, lui è nato senza coscienza o empatia, come una persona che è nata senza arti. Ho dovuto spegnere queste parti di me, è difficile interpretarlo se lo giudichi. Specialmente nelle scene in cui le persone mi stavano implorando, non mi piace vedere queste scene, ho dovuto spegnere quella parte di me”.
A complicare ancora di più le scene violente del film come del resto tutte le altre sono state improvvisate:
“Per me era importante il processo, sapevo che realizzando questo film avrei imparato. Per la prima volta non abbiamo mai provato, per un attore è eccezionale, metti da parte le idee che ti sei fatto e c’è la paura di sbagliare così importante nel processo creativo, devi esseri in grado di prenderti dei rischi e concentrarti e devi fidarti del regista”.
Von Trier e gli altri grandi registi con cui ha lavorato Dillon hanno una caratteristica in comune sono concentrati sui personaggi che stanno portando sul grande schermo:
“I migliori sono preoccupati dai personaggi e che la storia che rappresentano funzioni attraverso questi personaggi. Il film non termina quando si legge una sceneggiatura, quando lo reciti, lo giri o lo monti, è un processo in fieri. Prendi comunque dei rischi per i registi di cui ti fidi, in questi termini, Lars è uno dei migliori con i quali abbia lavorato. Fra attore e regista s’instaura un patto di fiducia, ho visto altri suoi film e gli attori hanno questa relazione con lui”.
La Casa di Jack non ha ancora il visto censura, ma in USA è stata distribuita in due versioni, una delle quali è stata tagliata:
“Non sono un fan della censura, ma alcune scene sono state tagliate perché troppo forti per la distribuzione in sala, ma ho visto ben di peggio in TV. Mi ero chiesto se il film fosse troppo violento, ma ho visto di peggio nel piccolo schermo, Lars stesso nel girarle voleva che il pubblico venisse colpito e disturbato da queste scene”.
Uno dei padri fondatori di Dogma 95, von Trier è a detta di molti uno dei registi più difficili con i quali lavorare, ma a Dillon è piaciuto il suo stile “incasinato” di regia e ha portato con sé uno dei motti del regista danese:
“Avevo diretto un film con Stellan Skarsgård e mi aveva detto che si era trovato bene con Lars. Sapevo che molti non volevano lavorare con lui, c’è una frase nello slang danese Wusk og Sjusk! e vuol dire resta incasinato nel modo di lavorare, ed è stato interessante lavorare così. Parlando di come interpretare Jack e lui mi ha detto che era importante mantenere l’intuito e tenere le conversazioni fuori dal set. È brillante dal punto di vista tecnico, ma gli interessa il film in sé, è uno che va contro le regole per la sua autenticità”.
La Casa di Jack è un film sì violento, ma la violenza non è mai gratuita ed è usata da von Trier per raccontare una storia ricca e interessante sulla natura umana. La violenza del film spinse il pubblico e la stampa al Festival di Cannes ad abbandonare la proiezione del film. :
“Divide il pubblico, c’è chi l’ho amato negli USA e chi è stato spaventato, c’è molta assurdità e black humour. Lars fa i film sugli USA senza averci mai messo piede, dovete digerire il film prima di giudicarlo. È triste che la gente non l’abbia visto tutto, devi vederlo fino alla fine anche perché il finale è altamente morale”.
Uno dei fulcri del film è il dialogo filosofico-religioso fra Jack e Virgilio, un dialogo spinto anche dall’ossessione che von Trier ha per la religione. Nel film c’è anche un riferimento all’arte e alla letteratura con Jack che diviene un moderno Dante:
“Non voglio fare spoiler, ma il film è strutturato sul dialogo fra Verge e Jack, c’è l’ossessione di Lars per la religione nel finale e si sottolinea che esistono persone peggiori di lui. Anche il fatto che Jack abbia il disturbo del comportamento ossessivo-compulsivo, le sue compulsioni, la sua natura che penso derivi proprio da Lars stesso”.






















La Casa di Jack vi aspetta in sala il 28 febbraio, distribuito da Videa Film.