La vendetta di un uomo tranquillo, Raúl Arévalo parla del suo film

La sua opera prima: quattro Goya per il film spagnolo dell’anno che aveva stregato anche pubblico e critica a Venezia 73. In sala il 30 marzo

La vendetta di un uomo tranquillo
Il bar al centro del film diretto da Raúl Arévalo

La vendetta di un uomo tranquillo è il primo film di Raúl Arévalo, l’attore spagnolo è alla sua prima prova da regista. Tarde Para La Ira, questo è il titolo originale, è il film spagnolo dell’anno, premiato con quattro Goya, gli Oscar iberici, per miglior film, attore non protagonista, regista esordiente e sceneggiatura entrambi andati a Raúl Arévalo.

Il film sarà in sala il 30 marzo, distribuito da Bim, ed è già passato a Venezia 73 dove è stato accolto positivamente da pubblico e critica. Raúl Arévalo è un attore noto in Spagna, premio Goya per Gordos, ha lavorato con Pedro Almodóvar (era uno degli assistenti di volo ne Gli Amanti Passeggeri) ed è stato uno dei due detective protagonisti del bellissimo La Isla Mínima, il film diretto da Alberto Rodríguez. Com’è stato il passaggio da attore a regista?

“Ho sempre voluto dirigere, sin da bambino, la recitazione è arrivata dopo, a 17 anni, ho studiato Interpretazione e Recitazione, ma come la regia è sempre stata il mio sogno, ogni lavoro è stato il mio insegnamento, la mia scuola come regista. Ci ho messo tempo a realizzare il mio sogno, ma la mia testa ragiona più come un regista, anche se mi diverto molto a lavorare come attore, penso di funzionare più come regista che come attore”, ha spiegato Arévalo.

Attore affermato, per Arévalo il sogno vero era la regia: “Ci ho messo otto anni a fare questo film, ma è come se il mio sogno si sia realizzato. Questo è il mio vero sogno”.

La vendetta di un uomo tranquillo racconta la storia di un uomo solitario e silenzioso, José, frequentatore abituale di un bar di Madrid, l’uomo nasconde un segreto. Ana, la donna che lavora nel bar del fratello Juanjo, è sposata con Curro, un uomo che sta per uscire di prigione: l’uomo è in galera dal 2007, da quando è stato l’unico a essere arrestato al termine di una rapina a mano armata. In qualche modo la vita di José si lega a quella di Ana, di Curro e di Juanjo. Il film di Arévalo è un thriller, a tratti sembra un noir, ma non era questo l’obiettivo del regista.

“Inizialmente non volevo fare un film di genere e credo che anche se dal punto di vista mediatico bisogna mettergli un’etichetta, e si vende come un thriller, credo che si tratti di più di un dramma con tinte di thriller. Volevo raccontare la storia di questi personaggi e volevo che fosse un dramma, man mano che lo scrivevo, la storia si è evoluta ed è diventata un po’ di più un film di genere, ma la mia intenzione iniziale era quella di fare un dramma”, ha risposto l’attore e regista.

 

La storia di La vendetta di un uomo tranquillo è legata in parte al regista: “Mio padre ha un bar simile a quello del film, un giorno ho sentito una conversazione di un cliente che commentava una notizia al tg, se fosse successo qualcosa di simile alla sua famiglia avrebbe preso un fucile e li avrebbe ammazzati. Ho pensato che nei film di vendetta succede così, ma il film è più realista, s’interroga sulla difficoltà di uccidere qualcuno, di trovare vendetta, di quanto sia orribile e brutta la violenza nella realtà”.

Il protagonista della vicenda è José, l’uomo tranquillo del titolo, interpretato da Antonio De La Torre, amico e collega di Raúl Arévalo. I due si sono incrociati in ben due film: Azuloscurocasinegro, esordio per Arévalo, e Gordos, entrambi diretti da Daniel Sánchez Arévalo e inediti in Italia. Com’è stato dirigere i suoi attori, oltre ad Antonio de la Torre, Luís Callejo, premiato con il Goya, e Ruth Díaz:

“Sì, questi attori sono amici, è stato più facile che lo fossero, anche per capire il lavoro degli attori, ma era un arma a doppio taglio perché da un lato ero più vicino a loro, ma dall’altro il ritmo delle riprese a volte ti fanno dimenticare cosa hanno bisogno gli attori. E io, in quanto attore e direttore, me ne rendevo conto e avrei voluto dare loro di più. È positivo essere attore, ma allo stesso tempo soffri quando non riesci a dare loro quello di cui hanno bisogno”, ha risposto l’attore e regista 37enne.

Raúl Arévalo non ha però pensato di recitare in La vendetta di un uomo tranquillo: “Non ho mai pensato di recitare nel film, non so come si fa a recitare e a dirigere. Non mi attraeva l’idea e soprattutto sognavo di stare dietro la telecamere, non mi è mai attratto l’idea di fare le due cose”.

Molti i registi che lo hanno ispirato da Sam Peckinpah ai fratelli Dardenne: “Ha più che vedere con i film di Sam Peckinpah degli anni ’70, ma le mie referenze sono più europee, in Francia Jacques Audiard, in Belgio i fratelli Dardenne, in Italia Matteo Garrone e in Spagna i film di Carlos Saura negli anni ’70”.

Protagonista del film la vendetta, qual è il rapporto che il regista ha con questo sentimento: “Credo che sia orribile, non l’appoggio in nessun senso, anche se tutti possiamo capire l’idea ed è per questo che ci sono così tanti film su questo tema, di differenti stili da Tarantino a qualsiasi altro degli altri registi che ho già menzionato. Film che riusciamo a comprendere perché disgraziatamente la violenza è inerente all’essere umano. Mi sorprendo quando un tassista mi parla male, scendo e ho voglia di prendere lo sportello a calci, ma mi sento male per questo. Anche se è in cose così piccole, tutti possono comprendere la vendetta, per questo funziona nei film e attrae, ma evidentemente non sono d’accordo”.

Quattro Goya e un premio al festival di Venezia 73 per la migliore attrice nella sezione Orizzonti, non si aspettava tutto questo successo:

“Non lo so, il bello del cinema, bello per dire qualcosa, è che nessuno sa perché una cosa venga meglio di altre perché se no tutti farebbero bei film. Ho lavorato molto alla sceneggiatura, alla scenografia, ci abbiamo messo molto amore e voglia. Un mio amico diceva che costa lo stesso fare un film bello che un altro brutto. È lo stesso lavoro, un film brutto non ha meno lavoro o meno sforzo, non so quali siano gli elementi che ti portano a fare un bel film. C’è una parte magica che ci scappa, e non so qual è, uno degli elementi è che ho avuto una squadra tecnica perfetta per raccontare una storia come questa. Grazie al mio lavoro d’attore conosco molta gente della cinematografia spagnola e ho potuto scegliere i migliori, mi sono sentito come un allenatore che può disporre dei migliori giocatori, avevo un ottimo team al mio fianco”.

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