L’Arte della Fuga, Brice Cauvin presenta il suo film 


Da oggi in sala con Kitchen Film, protagonista una famiglia sgangherata con tre fratelli protagonisti. Il regista l'ha scritto con Agnès Jaoui

L'arte della fuga arriva finalmente al cinema. Brice Cauvin presenta il film che ha scritto insieme ad Agnès Jaoui, qui in una scena con Benjamin Biolay

L’Arte della Fuga è da oggi, finalmente, al cinema, il film francese arriva a tre anni dall’uscita in Patria grazie a Kitchen Film ed è stato presentato dal regista Brice Cauvin.

Ispirato all’omonimo romanzo di Stephen McCauley, i protagonisti sono tre fratelli Louis, Antoine e Gérard, in crisi con i rispettivi partner. A fare da cornice i due genitori ossessivi che lavorano in un vecchio negozio di abbigliamento maschile e la migliore amica di Antoine, la meravigliosa Ariel, Agnès Jaoui che con Cauvin ha scritto la sceneggiatura. La commedia familiare di Cauvin deve moltissimo al linguaggio e alla musicalità:

“I dialoghi per me sono fondamentali, costruisco sempre i miei film a partire dai personaggi e dunque quello che dicono e pensano. Ho costruito questo film come un progetto musicale, mi sento come un maestro d’orchestra e dirigo gli attori come fossero strumenti musicali. Li dirigo con un vocabolario musicale, mi piace che il film sia costruito come una partitura sia nella sceneggiatura che nelle riprese. Questo film ha anche un titolo musicale perché è legato a Bach”. 

I tre fratelli e anche gli altri personaggi de L’Arte della Fuga temono i rimorsi, un sentimento che attraversa il film:

“Una delle frase centrali del film è: È meglio avere dei rimorsi che dei rimpianti. Tutti i personaggi hanno difficoltà a illustrare questa proposta, il personaggio di Ariel è il testimone di quest’idea e Antoine cerca di portarla in famiglia. Ci sono delle forze contraddittorie nella famiglia, quello che m’interessava è rappresentare la famiglia vista sia come luogo di rifugio che come luogo di violenza, questa possibilità di rimorso e di rimpianto è legata al fatto che la famiglia impedisce tutto questo”.

L’Arte della Fuga è ispirato all’omonimo romanzo dell’americano Stephen McCauley, come ha adattato il libro:

“Il primo festival dove è stato presentato è stato quello di San Francisco, la prima domanda che mi hanno fatto è stata: questa non è una famiglia americana perché avete scelto di raccontare una famiglia francese usando un romanzo americano? Non è comune farlo, ma gli americani lo fanno sempre. Ho provato ad adattare il romanzo in Francia, loro sono più diretti, per esempio il personaggio di Ariel dice nel romanzo: I want to change my life (voglio cambiare la mia vita, ndr), nessun francese lo direbbe. Ci sono molte cose che non esistono nel libro, ma McCauley mi ha detto che è stato l’adattamento più libero e anche il più fedele”.

L’Arte della Fuga è anche un film che parla della famiglia:

“È il soggetto principale del film, la famiglia non risponde a nessuna sola logica, solo quella affettiva. Ha una funzione affettiva, non risponde a nessuna regola, può essere rifugio o un luogo d’estrema violenza. Il film racconta questo, i genitori dicono una cosa e fanno il contrario, mostra anche i faccia a faccia con i figli, i comportamenti distruttivi e paradossali e allo stesso tempo manifestazioni d’amore fortissime. Per me è un argomento cinematografico bellissimo perché ci sono tutte queste contraddizioni e paradossi, è come il teatro e possiamo svilupparli fino all’infinito”.

Le dinamiche familiari nel film sono raccontate alla perfezione, come anche quelle affettive ed è inconsueto vedere degli uomini così aperti a parlare dei propri sentimenti:

“Il film è dedicato alle mie tre sorelle, ho raccontato però tre fratelli, c’è qualcosa di personale. Penso che la sensibilità non è solo ad appannaggio delle donne, mi fa piacere che gli uomini siano così nel film”.

Tornando alla famiglia, Brice Cauvin parla dei due attori che interpretato i genitori Marie Christine Barrault e Guy Marchand:

“Per noi sono degli attori immensi, amano essere diretti, sono famosissimi e fanno parte della mitologia del cinema francese. Avevo lavorato con Marie Christine al teatro e ci siamo capiti, quello che mi piace di lei è che un’attrice kamikaze, le chiedi delle cose folli e accetta tutto, le piace. Guy Marchand ha un modo contraddittorio di fare funzionare il personaggio, era molto felice del film e del progetto”.

Non solo Marchand e Barrault, l’equilibrio del film è anche dato dall’equilibrio in scena dato dalla recitazione con i tre giovani protagonisti Laurent Lafitte, Benjamin Biolay e Nicolas Bedos:

“Avevo voglia che gli attori che potessero essere credibili come figli, li ho scelti perché potevo lavorare prima, attori con cui si potesse creare una complicità. Volevo attori che si mettessero in gioco, erano uniti in modo straordinario, alcune volte bisognava rompere quest’unione. Ho scelto degli attori che avevano la capacità di provare, non volevo che illustrassero la scenografia, ma che prendessero dei rischi”.

La musica gioca un ruolo importante nel film, non solo Bach…

“Do molta importanza alla musica, scrivo con la musica. La musica dà vita alle ambiguità, metto gli attori a lavorare nello stesso stato, la musica lo trasmette bene. Gli attori erano disorientati e gli dicevo: lavorate in aggiunta. Tutto è stato costruito partendo dalla musica, ci sono le fughe di Bach reinterpretate da artisti come gli Swingle Singers che conoscevo e dal compositore del film. E c’è Ravel, a cui mi sento molto vicino, è il compositore che meglio illustra la melanconia, se avessi dato un altro titolo al film sarebbe stata La Melanconia”.

Whit Stillman aveva diretto un film con questo titolo, ma il cinema di Brice Cauvin ricorda quello di Woody Allen. Il regista ha parlato della straordinaria collaborazione con Agnès Jaoui:

“Siamo molto amici e da tanto sognavamo di adattare un libro insieme e leggendo il libro ho pensato che c’era un ruolo per lei. Finita la scrittura le ho proposto di essere Ariel e mi ha detto sì. Agnès è un’attrice rara e generosa, prende moltissimi rischi, sa che il cammino per arrivare a qualcosa è prenderli anche se comportano dei fallimenti. Sa qual è il cammino da prendere per arrivare a quello che si vuole”.  

Uno dei protagonisti silenti è il negozio della famiglia al centro del film:

“Lo è ed è stato difficile da trovare, alla fine l’ho trovato e abbiamo fatto dei lavori per cambiarlo. è fondamentale perché i personaggi devono avere della coerenza con la scenografia”.

Un film coerente e bellissimo, L’Arte della Fuga vi aspetta al cinema.

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