The Happy Prince, Rupert Everett porta il suo Oscar Wilde al cinema

In sala dal 12 aprile, il film scritto, diretto e interpretato dall’attore inglese sugli ultimi anni di vita del grande autore irlandese. Il film è comprodotto da Palomar

Rupert Everett dirige, scrive e interpreta gli ultimi anni di Oscar Wilde in The Happy Prince © Wilhelm Moser

The Happy Prince è il primo film da regista per Rupert Everett, l’ancora splendido 59enne l’ha presentato a Roma e sarà in sala dal 12 aprile con Vision Distribution. The Happy Prince è stato scritto, diretto e interpretato dall’attore ed è stato prodotto dall’italiana Palomar. 

Rupert Everett appare invecchiato in conferenza stampa per il suo ruolo dell’Inquisitore nella serie TV ispirata a Il Nome della Rosa che si sta girando a Roma, due ruoli che sono collegati alla figura di Gesù Cristo. Nel film, Everett recita con un’imbottitura che lo rende irriconoscibile e il titolo è lo stesso di un racconto per bambini scritto da Wilde che la madre gli aveva letto da piccolo:

“Ho scritto la sceneggiatura dieci anni fa e sono riuscito a realizzare il film anche grazie a Palomar, non è stato facile trovare i soldi, forse avrei dovuto farlo quando avevo più successo”.

The Happy Prince è un film ben fatto e recitato, eppure era stato sommerso dalle critiche durante l’ultima Berlinale, critiche che hanno fatto soffrire l’inglese:

“Non mi piace la gente che critica, capisco che ti possa piacere o no un film, ma in The Happy Prince c’ho messo tutto me stesso e non posso fare di più. I critici non vogliono pensare… e poi erano tutti americani”.

A colpire in The Happy Prince è la parabola discendente di Oscar Wilde, da autore acclamato a poverissimo esule quasi dimenticato da tutti. Anche all’attore inglese è successo qualcosa di simile quando ha deciso di fare coming out:

“Se lavori in un mondo come quello del cinema che è o è stato aggressivamente eterosessuale, devi negoziare molto se sei gay e alla fine devi scontrarti contro un muro pesante, per fortuna le cose stanno cambiando, ma non era semplice negli anni 80 e 90. Wilde per me è sempre stata una fonte d’ispirazione e in particolare quando ero un giovane adulto a Londra a metà degli anni 70, solo dal 1968 era legale l’omosessualità e a tutti sembrava di ripercorrere i suoi passi”. 

Nel film si raccontano gli ultimi anni di vita di Wilde, quelli del suo declino, vissuti a Parigi e per ricreare la città francese di fine 800, Rupert Everett si è ispirato all’arte e alla fotografia:

“Mi sono ispirato a Brassaï e ai suoi scatti di Parigi nella nebbia, abbiamo girato in Belgio e in Germania e ho aggiunto la foschia per coprire l’architettura fiamminga e bavarese. Mi sono rifatto ad alcuni dipinti di Toulouse-Lautrec e Monet e ad altri quadri sul Nord della Francia”. 

In The Happy Prince vediamo Wilde all’apice della sua carriera, abile mattatore sui palcoscenici e figura irriconoscibile nelle vie di Parigi, l’autore ha un rapporto ambivalente con la Gran Bretagna forse dovuto al suo essere irlandese:

“Molti si dimenticano che non era inglese e guardava l’establishment e la Gran Bretagna con un punto di vista straniero e poi era snob. Quando incontra Lord Alfred Douglas (il suo amante Bosie, ndr) è arrivato in Paradiso. Prendere in giro la grandeur inglese gli è costata cara e la storia con Bosie era basata solo sull’essere snob. Politicamente, inoltre, ha portato lo scandalo su di sé, è stato lui a citare Lord Queensbury in tribunale, l’establishment l’avrebbe anche accettato se non avesse fatto una mossa così azzardata. Era una star così grande e non capiva com’era cambiato il mondo, non è stato colpito dagli inglesi, all’inizio lo odiavano perché era irlandese, ma penso che si sia distrutto da solo”.

La sua autodistruzione è al centro di The Happy Prince ed è stata ripresa dal regista Everett come se fosse un film di Visconti realizzato con una telecamera circuito chiuso:

“Ho girato così il film: ho curato la fotografia, ma anche le riprese reali dei soggetti. Mi affascina il cinema dei fratelli Dardenne e loro usano un trucco: inquadrano prima il volto e poi seguono il soggetto con la camera in spalla, mi sono ispirato a questo volevo che la camera fosse un osservatore”.

Ed è infinitamente reale vedere la caduta del dio Wilde, irriconoscibile negli ultimi anni di vita:

“È una delle storie più romantiche del 19° secolo, sono un fan della Belle Époque, mi piacciono gli ultimi dieci anni del secolo, mi piace la sua storia e quella di Paul Verlaine: geni ostracizzati dalla società e finiti come dei relitti sulle strade di Parigi a elemosinare drink… lo trovo romantico, anzi tenebroso”.

Per raccontare il suo Wilde, Everett si è ispirato a libri e le tante lettere scritte dall’autore nel corso della sua vita e che per l’attore “danno la possibilità di seguire ogni momento della sua vita… meglio di un cellulare”.

L’ispirazione di Luchino Visconti si nota anche in Bosie:

“Tazio è sempre stato nei miei pensieri per il personaggio di Bosie, Morte a Venezia è uno dei miei film preferiti, anzi il mio viaggio nel cinema italiano è iniziato con l’assistente di Visconti, Roberto Zeffirelli, e i suoi Fratello Sole e Sorella Luna e Romeo e Giulietta, film che ho visto a scuola. Amo anche Rosi e penso che il cinema italiano abbia i migliori design di set e costumi”.

Inizialmente non voleva interpretare lui Wilde, ma poi Everett ha cambiato idea e ci ha regalato uno dei suoi ruoli più belli. Per lui, come per molti altri membri della comunità LGBT, Wilde è una figura simile a quella di Gesù Cristo:

Wilde ha flirtato con la chiesa cattolica per tutta la sua vita e si vedeva così. Avrebbe potuto scappare dalla prigione, ma si è sacrificato perché ha visto l’opportunità di avvicinarsi a Cristo, ma se leggi De Profundis cosa ha scritto sulla chiesa cattolica è molto interessante”.

Wilde passò due anni di carcere a causa della sua omosessualità e la Gran Bretagna gli chiese perdono solo nel 2017 insieme ad altri 70mila finiti dietro le sbarre per lo stesso motivo (fra loro anche Alan Tuning che dà il nome alla legge di amnistia, ndr):

“Raccontare la storia di un uomo distrutto solo perché è gay è importante ancora oggi, ti può succedere in Russia, Cina, Giamaica e India, ma la cosa peggiore è che succede anche in Italia e in Gran Bretagna. Con partiti come Ukip e Lega al potere, ci sono esempi terrificanti di omofobia in aumento e la situazione è preoccupante. Ci sono 17enni che si suicidano perché vittime di bullismo, il comune di Genova che non appoggia più il gay pride, una ragazza bruciata dai genitori in Sicilia, o un ragazzo picchiato dai suoi perché è gay. Ci sono atti di omofobia ovunque, facendo parte di una minorità devo e dobbiamo essere attivi e vigilanti”.

Wilde nel suo letto di morte è insieme agli amici che non l’hanno mai abbandonato: Reggie Turner (Colin Firth) e i due amanti Bosie (Colin Morgan) e Robbie Ross (Edwin Thomas):

“Robbie era il suo più grande amore, ma Wilde era troppo concentrato su se stesso per rendersene conto. Ross era l’impersonificazione stessa dell’amore”.

The Happy Prince è stato girato anche in Italia, a Napoli, una delle mete di turismo da parte dei gay del Nord Europa a fine 800, come ha spiegato l’autore. Il film porta sullo schermo i tormenti e la vita di Oscar Wilde, un grandissimo autore a cui Everett dà un “volto umano”:

“Non volevo descriverlo come un mito, ma volevo che avesse un volto umano, renderlo iconico sarebbe stato renderlo a un’unica dimensione e quindi noioso”.

Il bellissimo The Happy Prince vi aspetta al cinema dal 12 aprile, distribuito da Vision Distribution.

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