Vittorio Sgarbi e il quadro rubato: la vicenda scuote il mondo dell’arte 

Protagonista l'esperto critico d’arte e attuale sottosegretario di Stato al Ministero della cultura, indagato con l'ipotesi di reato di riciclaggio di un dipinto del 1600, rubato nel 2013 

Difficile si presenta la posizione di Vittorio Sgarbi, che con il suo consueto vigore afferma: “Sono assolutamente sereno e il sequestro del dipinto è un atto dovuto. Non ho nulla da temere. Mi difenderò con ogni mezzo con chi specula sulla vicenda e chi se ne rende complice”.

I fatti e i sospetti rivolti al Sottosegretario alla cultura, indagato con l’ipotesi di riciclaggio di un dipinto rubato nel 2013, sono iniziate con un articolo di Thomas Mackinson sul Fatto Quotidiano a dicembre e portate avanti con approfondimenti e interviste dalla trasmissione Report, si sono poi arricchite di dettagli che complicano la vicenda e la sequenza di azioni messe in atto nel tempo.

Come comunicato dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Roma, tutto inizia con il furto di un dipinto di grosse dimensioni raffigurante “un giudice che condanna un uomo dal viso venerando dal profilo di San Pietro di autore ignoto, ricordante i pittori “Solimena” e il “Cavallino”, avvenuto presso il castello di Buriasco (TO) ai danni della proprietaria Margherita Buzio e dalla stessa denunciato il 14.02.2013.”

In seguito si perdono le tracce del dipinto, fino a quando emerge che “forse” lo stesso dipinto risulterebbe essere in possesso di Vittorio Sgarbi, ma con un particolare non concorde nel disegno pittorico: i due dipinti si differenziano, infatti, solamente per la presenza di una piccola fiaccola in alto a sinistra, che secondo le accuse sarebbe stata aggiunta su indicazione dello stesso Sgarbi per rendere appositamente il dipinto una “variante”, ossia un’altra versione dello stesso soggetto, non identificabile con quello rubato e portando lo stesso Sgarbi a dichiarare che il suo sarebbe l’originale, attribuendolo a Rutilio Manetti, importante pittore senese caravaggesco dell’inizio del XVII secolo.

L’area del dipinto dove si trova la piccola torcia, sommariamente disegnata, sarebbe anche diversa dal resto della tela: priva, infatti, di quel craquelé, ossia la “screpolatura” della pittura, dovuta al naturale invecchiamento della tela.

Secondo l’indagine della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Macerata l’ipotesi di reato di riciclaggio si verrebbe così ad aggravare proprio per la presenza di queste “operazioni finalizzate ad ostacolarne la provenienza delittuosa”, una sorta di mascheramento appositamente studiato, attraverso l’inserimento voluto della torcia e attribuendo l’opera al pittore Manetti con il titolo “La cattura di San Pietro”, per eliminare totalmente la possibile vicinanza al dipinto rubato attribuito al Solimena o al Cavallino. Inoltre, Sgarbi avrebbe affermato la proprietà del quadro, che sarebbe stato rinvenuto per caso all’interno o, meglio nell’intercapedine della soffitta, di un immobile acquistato dalla fondazione Cavallini-Sgarbi, la Villa La Maidalchina, nella campagna di Viterbo.

Su questo punto entra in scena il restauratore Gianfranco Mingardi, cha afferma di aver ricevuto il dipinto di Sgarbi l’8 maggio 2013, quindi dopo appena tre mesi dal furto, senza cornice, con la tela arrotolata “come un tappeto” e tagliata dal telaio per 10-15 centimetri, il che porterebbe anche ad una coincidenza nelle dimensioni fra i due dipinti. Il restauro di pulitura iniziò più tardi verso il 2015 e il dipinto non avrebbe avuto la torcia disegnata, mentre presentava le stesse lacune già restaurate, dichiarate presenti nel quadro rubato. Due quadri possono essere simili nel soggetto rappresentato, ma non certamente nello stato di conservazione. A consegnare il dipinto al restauratore sarebbe stato Paolo Bocedi, storico dell’arte e collaboratore di Vittorio Sgarbi, che coincidenza vuole si fosse recato proprio qualche settimana prima del furto nel castello di Buriasco per chiedere alla Signora Margherita Buzio, come lei stessa racconta, di poter acquistare proprio quel dipinto.

Altro elemento messo in rilievo in questi giorni, risulta essere il sequestro presso magazzini in Ro Ferrarese (FE) nella disponibilità della Fondazione “Cavallini-Sgarbi”, non solo del dipinto, ma anche di una copia fedelissima in tre D, fatta eseguire da un laboratorio di Correggio (RE), specializzato proprio nella realizzazione di scansioni a 16k delle opere d’arte e stampa a rilievo con un’accurata fedeltà all’originale.

Secondo i titolari della ditta G-Lab, Samuele e Cristian De Petri proprio questa copia così perfetta del dipinto sarebbe stata esposta al pubblico in occasione della mostra “I pittori della luce. Da Caravaggio a Paolini”, che si è svolta a Lucca (dall’8 dicembre 2021 al 2 ottobre 2022), la cui curatela scientifica era affidata proprio allo stesso Sgarbi. La prova dell’esposizione della copia sarebbe in piccolissime differenze cromatiche e di alcune piccole linee, rispetto all’originale. Non è chiaro quale sarebbe stato il motivo di voler esporre un falso, rischiando un concreto rischio di cadere nella truffa. Anche questo aspetto andrà approfondito e chiarito.

Nella scheda pubblicata nel catalogo della mostra di Lucca, redatta dallo stesso Sgarbi e dallo storico dell’arte Marco Ciampolini, risulta la descrizione del dipinto, l’attribuzione e come luogo di conservazione dell’opera, la villa Maidalchina, già di Olimpia Pamphilij, ora proprietà della Fondazione Cavallini – Sgarbi. In occasione della mostra il dipinto presentava in alto a sinistra la piccola torcia, a voler certificare in questo modo la sua esistenza e peculiare caratteristica.

Un altro indizio importantissimo che sarà fondamentale per accertare l’identità del dipinto saranno anche le piccole parti di tela lasciate sulla cornice al momento del furto, soprattutto un lembo di tela originale che sarà confrontato nella dimensione e nella forma sulla tela del dipinto sequestrato, oltre alle analisi chimiche sul tessuto e tracce di colore.

Le indagini andranno avanti per concludere questa incresciosa vicenda che pone una serie di interrogativi e che può nuocere all’immagine di tutto il mondo dell’arte, dell’antiquariato e del restauro, settori in cui lavorano, spesso da generazioni, figure professionali e oneste.

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