Tavolo per Roma, la rabbia delle imprese dopo lo strappo

Il giorno dopo la rese di Calenda monta la delusione nel tessuto produttivo della Capitale. E adesso che si fa?

virginia raggi
virginia raggi

Malumore, parecchio malumore. Lo strappo tra il sindaco di Roma, Virginia Raggi e il ministro dello ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, sul Tavolo per Roma non è piaciuto nemmeno un po’ alle imprese che vi si erano sedute attorno, sotto le varie rappresentanze. C’è in queste ore un senso di smarrimento, forse di rabbia, per l’atteggiamento del sindaco.

Il fatto, dicono i ben informati, è che il Tavolo per Roma installato lo scorso ottobre al dicastero di Via Veneto, aveva un senso, una missione. Rilanciare una città da troppo tempo vittima di se stessa e delle amministrazioni. Ma l’atteggiamento rigido e poco propositivo della Raggi descritto da Calenda pare aver vanificato tutto, costringendo il ministro a dichiarare forfait e chiudere bottega anzitempo.

“Il Mise ha dedicato un team di 20 persone per seguire i progetti del tavolo di lavoro. Dopo mesi scanditi da una totale assenza della Sindaca e da proposte a dir poco stravaganti e richieste assurde formulate anche sulla base di errori di aritmetica, mi pare che non ci sia più alcun senso nel continuare questo lavoro. Ieri ho spiegato alla Sindaca per iscritto e nel dettaglio a che punto sono i progetti del tavolo Roma e quali sono le tante inadempienze e ritardi del Comune invitandola ad un incontro ristretto con il Presidente Zingaretti”, ha attaccato Calenda, motivando la decisione di alzare bandiera bianca. Oggi, in un’intervista al Messaggero, Calenda rincara la dose accusando la Raggi di non rispondere nemmeno al telefono quando c’era da condividere gli spunti del Tavolo per Roma.

“Peccato, era un’occasione, francamente non capisco”, dice qualche imprenditore. “Colpa della sindaca che non capisce le esigenze di questa città”, dice un altro. Sarà, ma la delusione nell’industria, nell’artigianato, nel commercio e della piccola e media impresa è tanta. Fortuna che c’è il voto a tenere impegnata la testa di politica e industria. Ma poi?

 

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