Saldi, crollo verticale e città a rischio desertificazione commerciale

I saldi invernali 2023 fanno flop. Cambia il nostro approccio alla spesa e alla moda firmata. Le serrande si abbassano una dopo l'altra e le città vedono lo spettro delle desertificazione commerciale. Piangono tutti, grandi e piccoli.

E dopo tanto parlarne, tante proiezioni e tante aspettative ora è venuto il momento di fissare il punto sui saldi invernali 2023.        E non è un punto ma un buco nero che coinvolge tutti: aziende produttrici, negozianti, brand, fisionomia delle città e, non ultimi, noi ormai improbabili acquirenti. Sono molti i fattori che concorrono a questa brusca inversione di tendenza e su tutti spicca la minor propensione alla spesa e l’innegabile incremento dei prezzi di vendita. In questa corsa folle non si salva nessuno nè i marchi galattici nè il low cost nè quella giusta via di mezzo che ci consentiva di essere modaioli ma, senza strafare.

Troppi sono i negozi che hanno chiuso o chiuderanno pur proponendo merce di indubbio “valore”.

Nota Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio “…prosegue la desertificazione commerciale delle nostre città, un fenomeno che riguarda soprattutto i centri storici dove la riduzione dei livelli di servizio è acuita anche dalla perdita di commercio ambulante”.   E la desertificazione di varie fette di città non può che portare a: degrado, insicurezza, perdita di attrattività e anche di competizione commerciale, fino all’assurdo di alcune città italiane ad oggi quasi prive di commercio su strada ma, circondate da grandi centri commerciali che offrono di tutto e di più sostituendosi ad una normale e naturale vita conviviale.

Dopo l’ubriacatura di libertà e di rinnovamento del post covid tutto si è ridimensionato con una chiara tendenza alla restrizione consumistica.

Le immagini dei “fiumi di scarti di abbigliamento” in Bangladesh, piuttosto che le montagne di abiti dismessi ad Atacana in Cile ci hanno segnato profondamente e anche se i diktat della moda, ogni giorno diversi e vincolanti, ci ingabbiano da ogni parte, è come se un interruttore on/off sia scattato dentro di noi.

Anche i negozi fast fashion hanno il fiato corto e per loro le previsioni sul futuro commerciale non sono affatto buone.

I mega brand viaggiano su vie a noi sconosciute e ormai incomprensibili, la smania del tutto logato è confinata a categorie sociali e mentalità lontane, per fortuna, da tanti di noi. La firma evidente è diventata, sempre più spesso, quasi il distintivo dei nouveau riches o dei parvenu dai quali allontanarsi il più possibile con la scelta di una moda ad personam, buona e bella ma, mai da manichino in bella mostra.

Questo nuovo corso impone un brusco ripensamento da parte dei produttori che devono puntare su collezioni sostenibili, facili da posizionare nelle vetrine dei negozianti che, a loro volta devono, per forza, rivedere i prezzi al dettaglio. Ad esempio l’indigestione da cachemire, da sempre faro nel mondo dei golfini, ci fa venire molti dubbi sulla sua reale origine, percentuale e trattamenti visto che ormai è proposto ovunque: dai banchi degli ambulanti, ai grandi magazzini fino ai marchi storici ma non più alla nostra portata.

Tutte armi spuntate che non fanno più presa sulla maggior parte di noi. Ci hanno spesso imbrogliato? Forse si, magari anche no ma, resta il fatto che abbiamo scientemente aderito alla deriva consumistica e anzi l’abbiamo spinta fino al suo stesso collasso. E se ora si paga pegno per i saldi che non fanno cassa e per le troppe serrande abbassate, per la città trasformata e in via di desertificazione è, in parte determinante un nostro misfatto e del nostro vivere a tutta velocità ma ad occhi chiusi

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