La Commissione Cultura della Camera ha approvato un emendamento della leghista Giorgia Latini che vieta l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, limitandone la possibilità alle scuole superiori e solo previo consenso scritto dei genitori. Attenzione, all’uso del verbo VIETARE all’interno dell’emendamento e al sostantivo POSSIBILITA’. Quindi un NO secco verso una concreta presa di coscienza delle reali necessità pedagogiche di generazioni che crescono, non solo fisicamente, al di fuori di schemi che per troppi anni abbiamo ritenuto rigidi e assodati.
I nostri giovani seguono un percorso di sviluppo che trova impreparate molte famiglie ed evidentemente anche le istituzioni; qui si va avanti con i soliti argomenti, gli stessi metodi di insegnamento e di studio. Nessuno mai si sogna di chiedere l’abolizione della matematica o della geografia ma dobbiamo essere consci che queste nozioni possono, si, sagomare la conoscenza, ma che non possono fornire apporti all’emotività, alle pulsioni e alle esperienze relazionali.
Gli effetti di questa negazione di dialogo interfamiliare e scolastico li possiamo vedere, quasi giornalmente, sui media: bullismo, violenze, stupri, convinzioni nate nell’ignoranza più profonda della materia condita, al massimo, da un disordinato sconfinamento in rete.
Il ministro Carlo Nordio ha detto che “l’educazione sessuale è compito delle famiglie” e forse anche l’educazione all’affettività e al rispetto reciproco, aggiungiamo noi, ma a quali famiglie si rivolge il ministro, con che grado di preparazione e di volontà di trovare le parole giuste e il tempo che questo tema fondamentale richiedono? Lontani da noi giudizi classisti e socioculturali, ma là, dove il gruppo familiare è disunito, dove ognuno si fa i fatti propri, dove non esiste una tavola comune e dove non c’è nemmeno il rispetto fra i componenti, è davvero convinto il ministro Nordio che si possano affrontare questi argomenti?
Oltre a prendere coscienza che i nostri giovani sono cambiati le istituzioni devono rendersi conto che anche le famiglie sono cambiate e che, sempre più spesso, non sono una sponda certa per i figli.
Secondo le linee guida dell’UNESCO e dell’OMS, il modello da seguire per una corretta educazione sessuale affettiva è quello della Comprehensive Sexuality Education (CSE): un processo continuo, graduale, basato su evidenze scientifiche, che comincia fin dalla scuola primaria e cresce insieme a chi lo riceve, adattandosi all’età e alla maturazione di ogni bambino, bambina e adolescente.
I ragazzi italiani hanno il primo rapporto a partire dai 15 anni e le “bambine” hanno le prime mestruazioni fra gli 11 e i 12 anni. Adulti a tutti gli effetti ma senza nessuna preparazione ad esserlo.
Ad introdurre l’educazione sessuale fu la Svezia dal 1955, si accodò la Germania nel 1968 e poi Danimarca, Finlandia e Austria nel 1970, Francia nel 1998 e l’Irlanda dov’è obbligatoria dal 2003. Come spesso accade lo stivale si trova fra i fanalini di coda della classifica. E questo, oltre a dispiacerci, ci fa incazzare di brutto perchè pare di intravedere dietro a questo emendamento una nuova volontà di ghettizzare sempre di più la nostra gioventù.
Da ricerche fatte sono proprio i ragazzi che chiedono di avere nella scuola il supporto informativo e dialettico sugli aspetti della sessualità; fanno domande chiare e concrete e spaziano dai contraccettivi, alle malattie trasmissibili, al consenso informato fino all’ansia da prestazione.
Sarà oscurantismo il nostro o forse farisaico bigottismo? Non ha importanza perché il risultato è un’imbarazzante e repressiva scelta educativa
Forever young: Edward Spitz – collezione privata